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giovedì, 28 Novembre, 2024

Per qualche medico, chi scende in piazza non merita cure. Il Giuramento di Ippocrate a Catanzaro

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di Gabriele Rizza

Lunedì 9 novembre Catanzaro è stata protagonista di una manifestazione spontanea e pacifica contro la disastrosa gestione della sanità calabrese, messa in ginocchio dal decennale Commissariamento e da una classe dirigente locale che negli ultimi mesi nulla ha fatto per preparare le strutture regionali alla lotta contro il Covid. Il risultato è stato la Calabria dichiarata zona rossa, fine evitabile se solo si fosse fatto il minimo indispensabile, almeno al pari delle altre Regioni. La manifestazione ha avuto “purtroppo” una grandissima partecipazione. Purtroppo lo diciamo perché dietro ogni singolo cittadino sceso in piazza c’è una storia fatta di disagio, di piccole imprese in crisi, di famiglie sul lastrico, di un domani sempre più nero. Tutte storie accomunate però dalla voglia di dire una volta per tutte No ad una classe dirigente locale che ha messo in ginocchio la popolazione, accomunate dalla voglia di riappropriarsi della propria terra, a prescindere dal variegato sentire politico presente in piazza. 
C’è però chi certe cose fa solo finta di vederle, e coglie l’occasione per mettersi in mostra su Facebook lanciando una minaccia e un messaggio disumano che getta ulteriore fango sulla Calabria, oltre che sulla propria categoria, quella dei medici. Infatti, un noto medico catanzarese scrive così suo social:

” Sto pensando che sia giunto il momento che medici, infermieri, biologi, oss incrocino le braccia. SOLO NOI siamo in guerra!!! Gli altri mettono le mine. La rivendicazione è legittima, la forma è una pazzia. Numeri in triste aumento di operatori contagiati. E se noi non vi curassimo più?”.

Ci chiediamo se questa persona sappia cosa sia il Giuramento di Ippocrate, se voglia dar vita ad una nuova forma di obiezione di coscienza, se la povera gente allo stremo che ha come sola arma la piazza merita (anche solo metaforicamente) di essere buttata in mezzo la strada davanti l’ospedale o, più semplicemente, se sia consapevole che in una fase così delicata dove la pandemia ha messo italiani contro italiani, provocazioni del genere possono essere prese seriamente come opzione sia da chi verrebbe escluso dalle cure, ossia i manifestanti, e sia da chi invece lo ha applaudito, suoi colleghi inclusi. 

E poi c’è quel “SOLO NOI SIAMO IN GUERRA”. Prendiamo per buona la metafora della guerra (anche se non lo è perché forse abbiamo dimenticato cos’è davvero la guerra): in questo paese tutti sono in guerra. Sono in guerra i medici, gli infermieri e i farmacisti, sono in guerra gli insegnanti di ruolo e precari che si fanno il mazzo per non lasciare i nostri figli senza istruzione, sono in guerra anche quelle mamme e quei papà senza più lavoro e senza aiuti adeguati, che ogni giorno lottano per non far mancare il pane a tavola per i propri figli e sono in guerra tutte quelle persone, giovani o adulte che hanno visto mandare in fumo i loro progetti e investimenti. Ci sono chiare responsabilità politiche, guai ad abbassare la guardia. 
Siamo al punto in cui si muore sia di Covid che di fame: mettere cittadini contro altri cittadini è uno schiaffo violento a chi nel suo piccolo cerca di andare avanti e rivendica i propri diritti, è invece una carezza a chi ha messo la Calabria in questo stato. Perché in fondo lo sappiamo, anche questo medico è una vittima del disastro. Però oltre a sentirsi in guerra dovrebbe sentirsi fortunato a poter mangiare l’indomani.

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