di Mario Alberto Marchi
Più che caldo, il prossimo rischia di essere un autunno bollente, per quanto riagurda le imprese in stato di crisi e i posti di lavoro a rischio. La temperatura è già altissima a metà estate, malgrado qualche miglioramento dei numeri nei mesi scorsi. È di questi giorni l’annuncio, da parte di Whirpool, dell’avvio della procedura di licenziamento collettivo per i 340 operai della stabilimento di Napoli.
Una doccia fredda, dopo lunghe trattative e ricerche di via d’uscita a una delle situazioni critiche più delicate, non fosse che per l’area geografica sulla quale insiste. Tantopiù che nel frattempo si registrava un nulla di fatto al ministero del lavoro per la proroga della cassa integrazione per i 400 lavoratori dell’ex Embraco per i quali è prevista la procedura ld licenziamento dal 22 luglio.
A fine maggio scorso il viceministro dello Sviluppo economico, Alessandra Todde, aveva annunciato che il numero di tavoli di crisi aperti era passato da 89 a 85.
Con un certo trionfalismo aveva citato la chiusura di 4 tavoli, in collaborazione con le regioni Abruzzo, Puglia e Piemonte. Le vertenze ancora aperte comprendevano tra le altre Whirlpool, Ilva, Alitalia, Air Italy, Sider Alloys, Porto Canale di Cagliari e Treofan di Terni.
Il fatto è che tra le 52 crisi nazionali e quelle regionali non ancora risolte, sono in bilico la bellezza di oltre 50.00 posti di lavoro, secondo l’osservatorio della Fim-Cisl. Una situazione potenzialmente esplosiva, anche perchè nel frattempo non è difficile prevedere che altri tavoli di crisi si posano aprire.
A tutto si somma la grande difficoltà che si incontra nel trovare soggetti disponibili ad investire nella aziende in crisi. In Italia il fiato dell’impresa è troppo corto per sperare in cordate di salvataggio, anche se benedette dal Governo e per quanto riguarda eventuali players stranieri, già il fatto che quelli presenti da tempo si sfilino la dice lunga sulle reali prospettiva. Almeno fino a quando non saranno compiute un po’ di riforme e sistemate un po’ di carenze strutturali. Il salvagente? Il ministro Giorgetti è stato costretto a rimediarne uno, l’unico utilizzabile in tempi brevi. Il cosiddetto “Metodo Corneliani”.
La Corneliani di Mantova è una importante azienda dell’abbigliamento che, dopo essersi trovata in crisi, ha trovato una via di salvezza attraverso il ricorso al Fondo di salvaguardia per le imprese che prevede l’ingresso del fondo pubblico, gestito da Invitalia, nel capitale della società.
<Si tratta dell’unico intervento pubblico nel capitale di società in crisi consentito dall’Unione Europea in materia di aiuti di Stato.
Certamente non basterà e non sarà applicabile a tutte le crisi aperte, alcune delle quali ,per dimensioni, imporrebbero probabilmente un impegno pubblico troppo oneroso. E il pericolo è proprio questo: mettere in piedi un sistema di partecipazioni statali a tappeto, difficile da gestire nei costi, ma soprattutto ancora una volta “ artificiale” rispetto al mercato.