di Gabriele Rizza
Tra le tante bizzarrie dell’Italia divisa in tre colori, c’è il caso delle attività ancora aperte in zona rossa e arancione. A subire il danno non sono solo i bar, i ristoranti, la vendita al dettaglio e gli estetisti, ma ci sono anche alcune categorie come i parrucchieri,che oltre al danno si beccano la beffa: i saloni possono continuare a lavorare e a ricevere clienti in un contesto in cui il flusso di clienti è ridotto all’osso continuando a versare ogni centesimo di tasse, bollette e affitti.
Eppure, nelle stanze del governo dovrebbe essere ovvio che non basta “permettere” di tenere alzata la saracinesca per disinteressarsi del settore bellezza, tra i più ligi nel seguire alla lettera il protocollo anti- covid. Nelle zone rosse tra smartworking, uscite cancellate, riunioni rimandate e scuole chiuse, la necessità e la voglia di curarsi viene meno, contemporaneamente alla sempre più forte paura del contagio. E così i saloni di bellezza restano aperti ma senza clienti e in più devono tenere le insegne e le luci accese, mentre gli affitti restano gli stessi nonostante il calo vertiginoso del fatturato, per non parlare delle tasse, con lo spettro dello shampometro (controllo fiscale in base alla quantità di shampoo consumato). È come essere chiusi con tutti i costi di una normale giornata lavorativa.
Nessuno però resta con le mani in mano e non ci sta proprio a sentirsi chiamare “non essenziale” dai ministri del governo, come il caso dell’associazione NAPI: nata nel 2014 per far uscire fuori la categoria dei parrucchieri da una congiuntura negativa, tra tasse sempre più alte, abusivismo e costi altissimi degli affitti della poltrona, si sta battendo per la dignità dell’intero settore. Le proposte per sopravvivere al lockdown sono: il “blocco immediato delle scadenze fiscali per mancato guadagno, indennizzi congrui in caso di chiusura e una linea guida valida per tutti per dare la possibilità ai clienti di arrivare in un salone anche se in un comune diverso da quello di residenza”. L’Italia è infatti in gran parte composta da piccoli comuni limitrofi, dove spostarsi da uno all’altro per diverse esigenze è la regolarità, e così il divieto totale di spostarsi da un comune all’altro è un disastro per i saloni e per tante altre attività imprenditoriali.
Occorrerebbe non lasciare indietro nessuno. La sensazione invece è che il governo punti a chiudere e a tenere aperte determinate attività in base ai pochi soldi a disposizione per i ristori. Chi resta aperto e non riesce a lavorare è in crisi quanto chi ha chiuso.