di Martina Biassoni
empatia Capacità di porsi nella situazione di un’altra persona o, più esattamente, di comprendere immediatamente i processi psichici dell’altro. Con questo termine si suole rendere in italiano quello tedesco di Einfühlung.
Così l’Enciclopedia Treccani definisce quello d cui oggi vorrei parlare: l’empatia, o, meglio, la perdita di essa.
Viviamo in un mondo sempre di corsa, partecipiamo alle cose passivamente, e non ci godiamo la vita perché siamo sempre presi dalla cosa successiva, dall’impegno di domani. Ma perché siamo arrivati ad essere così assorti in noi stessi? Cosa ci ha spinto fino a questo punto?
Tante volte ci proclamiamo amici stretti di qualcuno, eppure non ci rendiamo conto di quali sentimenti e sensazioni provi quotidianamente questa persona. Di quali siano gli atteggiamenti che lo infastidiscono, di quante volte ci viene detto che la nostra azione x non piaccia, eppure noi altrettante volte più una ci tuffiamo nello svolgimento di questa azione, noncuranti di chi ci circonda. Tantomeno dei suoi sentimenti in merito.
Quante volte le persone a noi più care soffrono per qualcosa di grave che si prende parte, se non la totalità, della loro vita. Eppure noi, egoisti senza cuore, ci concentriamo su noi stessi, sul nostro minuscolo mondo (interiore ed esteriore), trascurando chiunque consideriamo importante nella nostra vita.
Anche in questo caso, da vera “boomer” che non sono, un po’ mi tocca dare la colpa ai social network ed alla conseguente ricerca di perfezione assoluta ed utopistica che ne consegue. Purtoppo però le concause sono numerose ed altrettanto incidenti su questo problema che affligge la società.
Le concause della perdita di empatia sono date da tanti fattori, come la considerazione del prossimo molto bassa, il pensiero che l’altro non può essere considerato importante perché io perdo il mio posto saldo e sicuro nel mondo, il mio valore e anche un po’ di me stesso nell’interessarmi davvero e a fondo agli altri ed a ciò che succede nella loro vita.
Inoltre questa perdita scaturisce tanto dalla necessità di condividere tutto con tutti, quanto dalla voglia di non farlo. Mi spiego meglio: moriamo dalla voglia di pubblicare costantemente, di essere visti e di condividere le esperienze, il cibo, le frasi che sentiamo esserci di supporto in questo determinato periodo della nostra vita con gli altri, ma non condividiamo i momenti no, se non soltanto quando sono finiti e dimenticati. Ovviamente con risatina e commentino sarcastici annessi.
Non condividiamo il pianto di mezz’ora o il litigio che si protrae da mesi. perché ricerchiamo continuamente la perfezione a livello estetico, di esperienze che facciamo, ma soprattutto nel nostro stato d’animo. Non ci concediamo più di essere tristi, di non stare bene o di non essere completamente perfetti h24.
Vediamo il mondo correre a mille all’ora e, prendendoci un minuto per accorgerci di come stanno i nostri cari (o noi stessi), sentiamo di starci perdendo un’infinità di cose che scivolerebbero nel dimenticatoio in ogni caso.
E questa utopica ricerca della perfezione ci rende asettici, privi di contatto con la realtà, con gli altri esseri umani. Ci vergogniamo delle nostre debolezze e le lasciamo in un piccolo stanzino chiuse dentro, al buio. E immaginiamo che per tutti sia così, quindi togliamo il contatto vero che abbiamo nei confronti dei nostri cari “perché tanto cosa vuoi che stiano male?! ho visto la foto del trucco su instagram” “ma che problemi vuoi che abbia quella?! È ricchissima e sempre in vacanza!” Oppure, peggio ancora, non ci poniamo nemmeno il dubbio che, anche se per messaggio sembra tutto ok, su instagram stava ridendo, magari, può non essere così.
Nella ricerca della perfezione, il buio di quello stanzino ci fa paura e quindi lo lasciamo lì nell’angolo. Lo cerchiamo di dimenticare, pensando intensamente solo alla bellezza della perfezione e all’attimo in cui la raggiungiamo etereamente. E ce ne freghiamo del resto.
Per concludere, sono fermamente convinta che bisognerebbe tornare a quando ci accorgevamo di tutto, bello e brutto, bene e male, senza doppi sensi, senza il pensiero latente che possa essere ostentazione (“ostentare la tristezza?” starete pensando. Ebbene sì, in molti lo fanno. Ostentano la tristezza e il dolore alla ricerca di qualche falsa attenzione di (falsi e curiosi) conoscenti, like, follower in più) oppure che possano cercare di trarci in inganno e fare in modo che “caschiamo” nel loro giochino più degli altri. Amare ancora e sempre di piúi nostri amici e parenti, accorgerci se stanno male, stanarli dai loro pensieri, dai loro problemi con positività e comprensione, senza fare a gara a chi sta peggio, perché oggi come oggi, in quest’epoca in cui l’importante è apparire,nessuno vorrebbe farsi vedere in quelle condizioni, spesso (purtroppo) nemmeno da se stesso.