I guadagni, le relazioni che contano, le donne. Inchiesta sullo scrittore che ha costruito un mito di se stesso.
19 NOVEMBRE 2018 – GIACOMO AMADORI – PANORAMA.IT
Via Sicilia, Roma, interno giorno. Minuto più minuto meno, un decennio fa. Sede della Mondadori. Dal portone entra Roberto Saviano, accigliato come gli si addice, seguito da sei sette uomini armati e più accigliati di lui. All’esterno, restano parcheggiate due auto con i lampeggianti accesi. Il fattorino Giovanni, originario di Mondragone, apostrofa così il conterraneo autore di Gomorra che gli è appena sfilato davanti: «Il Signore degli anelli», citando la fortunata epopea di John Ronald Reuel Tolkien….
Chi c’era allora, sorrise. E pensò ai monili che Saviano porta alle dita. «Ma no, lo chiamo così perché è un grande autore di fantasy» ribattè il postino. Non sapeva che qualche anno dopo lo stesso accostamento con Tolkien sarebbe stato elaborato da un grande intellettuale, il sociologo Alessandro Dal Lago che proprio a Panorama nel 2015 disse: «Gomorra è un’insalata di camorristi che ormai Saviano vede dappertutto. La sua lotta tra il bene e il male, più che la tensione del Padrino, ricorda il genere fantasy. C’è qualcosa di tolkeniano, da Signore degli Anelli, in questa contrapposizione tra bene e male che Saviano continua ad agitare». Peccato che il nuovo Tolkien, «Filetto» per alcuni colleghi scrittori (l’origine del soprannome è controversa), si prenda molto più sul serio del suo maestro. Saviano, come ha sottolineato Dal Lago, si sente diffamato da chi legittimamente polemizza con lui e spesso risponde per via giudiziaria alle critiche. «Nessuno limita la parola di Saviano, anzi. È l’uomo che ha più libertà di parola in Italia» nota il sociologo. Eppure «Saviano si può solo adorare, Gomorra è un atto di fede, la Repubblica lo ha elevato a Padre Pio della nostra morale».
La via del MARTIROLOGIO
Nel suo saggio Eroi di carta Dal Lago ebbe l’ardire di scrivere che «l’inclusione di Saviano nel martirologio fa sì che chiunque non si allinei sia di fatto considerato un alleato dei camorristi». A Padova, durante un’omelia, un prete si è spinto a sostenere che sant’Antonio era un antesignano di Robertino. E una mamma, incrociandolo a un evento, gli chiese di lasciare una carezza al figlioletto neonato che nemmeno la buonanima di Papa Wojtyla. L’autore del La paranza dei bambini arrivò a dire, con tono evangelico: «Il mio compito è confortare gli afflitti e sconfiggere i confortati». Lui, per dirla con parole sue, non spiega la camorra al mondo, ma il mondo attraverso la camorra. Forte di questa missione, il martirologio è la strada originale che Saviano ha scelto per essere unico. In fondo Roberto non è un giornalista (non è iscritto a nessun albo), sebbene nel 2005 abbia partecipato a un seminario di giornalismo d’inchiesta, e non è nemmeno un inquirente prestato alla letteratura. È un giovanotto «ossessionato» (parole sue) dal crimine organizzato. Che conosce per sentito dire, visto che proviene da una famiglia borghese per metà originaria del Nord e senza boss tra i consanguinei. Il critico dello spagnolo El País, in occasione del secondo libro ZeroZeroZero, ha scritto che Saviano non si è infiltrato nel narcotraffico, ma nei reportage. Per qualcuno assomiglia alla statua del commendatore che gridava al Don Giovanni: «Pentiti, cangia vita/ è l’ultimo momento». La sua superiorità morale lo autorizza a intervenire su tutto. Ma forse il paragone più giusto è con il Girolamo Savonarola di Non ci resta che piangere, quello del «Ricordati che devi morire». Gomorra è il nostro «blockbuster morale, un libro che serve a supplire la nostra inadeguatezza» ha acutamente analizzato Dal Lago, aggiungendo: «A sinistra, ancora oggi, non si può dire che un prodotto editoriale venga scritto o girato per fare denaro. Sono tutti titani contro il Male». E di soldi il nostro Savonarola con la sua battaglia contro il Male ne ha fatti davvero molti. Moltissimi.
Ma Saviano lascia poche tracce della sua notevole disponibilità finanziaria. Non risultano in Italia case a lui intestate, né società. Per anni si è occupato dei suoi conti un commercialista di origini casertane trapiantato in Molise. Nel 2006, l’anticipo e le prime ingenti vendite di Gomorra, gli fruttarono meno di 50 mila euro. Da allora le sue entrate (che, essendo frutto di opere dell’ingegno, sono sottoposte a una tassazione agevolata) sono cresciute a dismisura. Nel 2009 il reddito imponibile era già salito a quasi 2 milioni, per stabilizzarsi intorno al milione negli anni successivi. Ma la stagione d’oro è stata il 2017, quando ha addirittura totalizzato un imponibile che si aggirava sui 2,3 milioni. In circa un decennio ha portato a casa intorno ai 13 milioni di euro di reddito «pulito». Questo grazie ai contratti con le case editrici, Mondadori e Feltrinelli su tutte, e con le case di produzione televisiva e cinematografica, come Cattleya (quasi mezzo milione per i vari contratti), Telecom-La7 (circa 400 mila euro), Fascino (intorno ai 350 mila), ma anche come Rai ed Endemol, seppur con importi più ridotti. Senza considerare l’accordo con il gruppo editoriale Gedi. Negli Stati Uniti ha un conto corrente ben fornito e detiene una partecipazione del 100 per cento nel capitale di una società americana che vale più o meno un milione di euro e che potrebbe essere un’immobiliare. Infatti risulta che Saviano in America, e precisamente a New York, sia proprietraio di un bell’appartamento, dove si trasferisce con la compagna alcuni mesi all’anno. Nella Grande mela vive, racconta chi lo frequenta, nell’elegante quartiere di Williamsburg a Brooklyn. L’indirizzo dove riceve la posta è in un tipico palazzo di mattoni rossi. La giornalista americana E. Nina Rothe, dopo averlo intervistato, annotò qualche anno fa: «Fare la spesa in negozi italiani su Arthur avenue o fare una passeggiata per conto proprio per le vie di Williamsburg, per lui rappresenta un lusso estremo».
E la chiamano parsimonia
Mondadori è stata fin da subito particolarmente munifica con San Roberto. Tanto da pagargli cene e viaggi in giro per l’Italia. Nonostante avesse un conto in banca importante, Saviano ha spesso fatto ricorso al bancomat di Segrate per saldare le fatture di ristoranti e hotel. Uno chef ci ha svelato che, nel suo locale di lusso, la seconda portata alla scorta fu costretto a offrirla lui stesso, visto che «Filetto» traccheggiava.
Anche il progetto del suo sito www.robertosaviano.it che doveva essere una specie di Wikipedia della camorra si è arenato dopo un inizio scoppiettante, pare per mancanza di finanziamenti. Qualcuno che ci ha lavorato, ricorda di essere stato pagato poco. Altri hanno prestato la loro opera senza ricevere nulla. Come Dario Salvelli che ha collaborato un anno con Saviano. Gratis et amore dei. «Sono stato fesso? Probabilmente sì, non lo so» scrisse all’epoca sul suo blog Salvelli. «Però non potevo rifiutare l’appello che mi scrisse via email Roberto tempo fa chiedendomi di collaborare. Quando non ce l’ho più fatta me ne sono andato».
Il vero motore dell’azienda-Saviano è però la segretaria Manuela Magnano, la perpetua di Roberto, che segue un po’ dappertutto. Gli ha fatto anche da portavoce quando un fan ha offerto un suo appartamento a Pomarance, in provincia di Pisa, dopo che Robertino si era lamentato in tv di non avere un luogo in cui andare. Manuela scrisse al giornalista del Sole24Ore, Roberto Galullo, che aveva rilanciato l’offerta sul suo blog, e lo ringraziò a nome dell’Eroe con una prosa che, però, non sprizzava entusiasmo. Pomarance non è mica Boston o New York.
Le relazioni che contano
Benché il diretto interessato denunci l’insostenibilità di una vita blindata e dell’occhiuta vigilanza della scorta, in questi anni «Filetto» ha viaggiato moltissimo, allenandosi alle mollezze, tra lussuosi alberghi ed eventi mondani. In agenda pure le cene esclusive con Roberto Benigni, Ezio Mauro, OIiviero Toscani. Ma pur frequentando il bel mondo della gauche caviar Saviano ci tiene ad apparire indipendente. Per esempio, davanti agli occhi di chi scrive contattò Pietrangelo Buttafuoco per chiedergli di fare da ambasciatore con CasaPound così da convincere il leader Gianluca Iannone e ai suoi ragazzi di partecipare a una presentazione di Gomorra officiata da Walter Veltroni, da cui il Nostro non voleva essere adottato. Iannone si sfilò, obiettando: «Ma se c’annamo senza invito ufficiale penseranno a una provocazione e arriverà la Digos».
Saviano ha incontrato in giro per il mondo Bono Vox, Philip Roth, Salman Rushdie, Lionel Messi, ha insegnato a Princeton e Boston, ha calcato l’austera sala del Premio Nobel, dialoga con Emmanuel Macron e altri capi di Stato. Ha svelato pure che in Spagna i dirigenti del Barcellona volevano usarlo come cavia per il dispositivo di sicurezza che di lì a qualche giorno avrebbe dovuto essere applicato a Barack Obama: un enorme cubo fatto di vetri antiproiettile. Nel salotto televisivo di Alessandro Cattelan ha confessato il suo amore per i gorilla di montagna che va a cercare nei bioparchi delle città che visita e che sono la sua fissazione su Instagram: «Mi sento un primate, per vicinanza, somiglianza, per il loro essere in gabbia. Negli zoo porto solidarietà ai compagni gorilla». Con Cattelan si è pure lamentato dei suoi viaggi negli Stati Uniti: «Alla dogana appena leggono “personalità sotto protezione” i poliziotti iniziano a spaventarsi» ha spiegato «pensano a un pentito, in genere mi mettono le manette, dei laccetti. Più ti agiti peggio è». Quindi ha confidato il suo incubo in quei casi: «Ho il terrore che mi facciano la foto, che esca in Italia che mi hanno arrestato».
Tra clausura e amicizie affettuose
Nonostante la presunta cattività in cui vive, non gli sono mancate le avventure galanti o presunte tali. «Non sono tipo da ragazze» sospirò un giorno con la faccia afflitta Robertino. Rushdie gli consigliò di andare ai party e di rinunciare alla scorta, come aveva fatto lui. Eppure, le voci – soprattutto nell’ambiente dei centri sociali prima, e dei salotti buoni poi – si sono rincorse. La fidanzata degli inizi – Serena B. – oggi lavora alla Feltrinelli di Trieste. «Era la donna giusta, l’unica insieme alla madre in grado di sopportarlo», si è rammaricato il padre di Saviano, Luigi.
Si è parlato di una «affettuosa amicizia» tra lo scrittore e l’eurodeputata del Pd, Pina Picierno che, però, ha minacciato querele al riguardo, come se frequentare Saviano fosse potenzialmente diffamatorio. C’è chi gli ha attribuito la scrittrice Silvia Avallone, finalista del premio Strega. C’è poi chi ha favoleggiato su una liaison con Sofia Passera, figlia dell’ex ministro Corrado. Guai però a chiedergli della sua vita privata. Gli eroi sono asessuati, come gli angeli. D’altronde, poco prima che uscisse Gomorra, si premurò di chiedere la cancellazione della notizia del suo fidanzamento con Serena dalla biografia ufficiale contenuta in un articolo di presentazione.
Una ragazza di nome “Meg”
Ma la verità è che Saviano, oggi, è un uomo accasato. La sua compagna ormai ufficiale per tutti nel suo entourage è Maria Di Donna, in arte Meg, ex cantante della band underground 99 Posse, da una quindicina d’anni voce solista. Originaria di Torre del Greco, studi porticesi e residenza napoletana durante gli anni dell’università, non viene mai associata a Saviano. Su internet si trova solo una notizia del 2008, confezionata da Novella 2000, in cui si sottolineava che Saviano era sì sotto scorta, ma non per questo senza amore. Il Corriere della sera riprese la notizia in questi termini: «Le luci dei riflettori si sono accese per la presenza di due (…) giovani che sembrano contendersi l’amore di Saviano. Le duellanti sarebbero Meg (…) e una misteriosa giovane poetessa, per ora ignota. Un triangolo che potrebbe diventare un quadrato. Meg, infatti, è da tempo legata a Emiliano Audisio. Il musicista della band Linea 77 non sembra essere disposto a farsi sostituire da Saviano». Alla fine Roberto l’ha avuta vinta. Lui e la sua bella Meg risultano entrambi residenti in una caserma dei carabinieri dietro al Parlamento. In realtà convivono tra l’appartamento di lui a New York e quello di lei a Roma.
Meg ha comprato casa nella Capitale nel 2009 poco dopo l’inizio della storia con Saviano. L’appartamento di 6,5 vani, con telecamera sulla porta d’ingresso, compare in qualche foto su Facebook e su una parete si intravede un quadretto con il corallo di Torre del Greco, città d’origine della cantante. Nella casa di 120 metri quadri Meg abita con la sua bimba di circa dieci anni. Un negoziante della via ci dice: «Lo scrittore vive qui da sette anni circa. Ma l’avrò visto due o tre volte. Si allontana per mesi».
I gestori del garage sotto il palazzo lo hanno avvistato più volte, anche perché la scorta dello scrittore non passa inosservata. Lui entra e esce dallo stabile indisturbato, sebbene nel condominio ci siano decine di appartamenti. Ma nonostante viva tra la gente, Saviano in tv e nelle interviste si lancia sempre in dichiarazioni melodrammatiche. Per esempio, mentre dava del buffone al ministro dell’Interno proclamò, a proposito della sua esistenza sotto scorta: «E secondo te, Salvini, io sono felice di vivere così da 11 anni? Da più di 11 anni. (…) Ho più paura a vivere così che a morire così».
Meg non parla mai nelle sue interviste, né di Saviano, né della bambina, ma si dilunga sulla sua vita vagabonda: «Sono stata parecchio in viaggio, ho visitato molte città sia in Europa che negli Stati Uniti e quella che meglio di tutte mi ha adottato è stata New York» ha raccontato in un’intervista. Napoli, ormai, le sta stretta: «Mi rendo conto che viverci può essere impegnativo e pesante». Recentemente è stata la voce narrante, oltre che interprete, della colonna sonora, guarda un po’, di Camorra, il documentario di Francesco Patierno presentato all’ultima Mostra del cinema di Venezia e andato in onda su Rai 3. Non è difficile immaginare Saviano e Meg la sera a tavola mentre discutono dei Casalesi per la gioia della ragazzina.
IL METODO «più che vero, verosimile»
L’attitudine di «Filetto» non è quella del giornalista investigativo (non è neppure iscritto all’albo, anche se ha frequentato un breve seminario nel 2005), ma quella dello scrittore. Dopo la palestra al Manifesto, all’inserto campano dell’Unità e, ancora, nel cenacolo de sinistra del blog Nazione indiana, arrivò il grande salto al Corriere del Mezzogiorno, dorso campano del Corriere della sera. Tra il 2004 e il 2006, scrive una decina di pezzi di cronaca, veri reportage. Per esempio si occupa dell’omicidio della piccola Annalisa Durante a Forcella seguendone i funerali. «Mi colpì perché era un entusiasta, non certo per la qualità della scrittura. Andava sul posto. Tornava a rivedere», ricorda l’ex direttore del Corriere del Mezzogiorno Marco Demarco.
A quel punto, il direttore decide di inaugurare sul quotidiano un Osservatorio anticamorra, per non far dimenticare alle istituzioni locali finite in mano alla sinistra la criminalità organizzata. «Bisognava che il discorso uscisse dai confini regionali e Saviano si è dimostrato la persona giusta» spiega De Marco. «Solo che un giorno arrivò da me con la storia del vestito di Angelina Jolie realizzato in un atelier della camorra. Mi parve una storia bellissima e la pubblicai. Finì anche in Gomorra e fece il giro del mondo». Però un giorno Demarco chiese a Saviano di dirgli come avesse trovato una storia tanto affascinante e lui rispose: «Me l’ha raccontata il sarto». Demarco rimase interdetto: «E non hai altre prove?» domandò. La risposta fu negativa. «Capii allora che aveva più una logica da scrittore che da giornalista. E infatti ci arrivarono molte smentite per i suoi articoli. Roberto non faceva mai le verifiche di quanto gli avevano raccontato» conclude Demarco. Il quale, con il senno del poi, ha riflettuto su quanto sia rischioso questo modo di lavorare, dove il verosimile diventa reale e le parole di un pentito possono diventare Vangelo. È il suo metodo, quello che gli consente di superare di slancio le faticose verifiche del giornalismo d’inchiesta. Ma guai a dirlo: «Se mettete in dubbio la mia credibilità, mi consegnate ai killer» è il suo ricatto morale.
Un capolavoro a sei mani
Un po’ per fortuna, un po’ per l’interessamento di Helena Janeczek, premio Strega 2018, Roberto arriva alla Mondadori nel dicembre 2004. Il suo primo contatto è con Edoardo Brugnatelli, direttore della collana Strade blu. Il suo biglietto da visita sono gli scritti su Nazione indiana (a cui collabora anche la Janeczek) e le buone referenze di Goffredo Fofi. Mondadori – spiega un interno – vuole puntare su qualcosa di nuovo e pop, neorealista o iper-realista, e la rilettura di Saviano di carte giudiziarie sembra perfetto per lanciare una straordinaria operazione di marketing editoriale. Gomorra nasce due anni dopo dalle cure di Antonio Franchini, direttore della sezione narrativa di Segrate, e della stessa Janeczek («Dalla collaborazione tra Antonio, Helena e Roberto non solo nacque il testo come lo conosciamo adesso, ma nacque anche il titolo Gomorra», ha svelato su Medium Brugnatelli). Il libro è quindi il frutto di un robusto editing che ha impegnato Saviano in una profonda opera di riscrittura sotto l’attenta vigilanza di Franchini. «Le uniche parole sue sono quelle che ha preso dai giornali» si diceva ai piani alti della Mondadori. Dove forse oggi considerano il bestseller un esperimento ben riuscito, ma meno nobile, rimanendo nel campo della letteratura underground campana, del Libro napoletano dei morti di Francesco Palmieri, il cui capolavoro, a Segrate, viene considerato la vera Gomorra.
QUELLE STRANE MINACCE DEI CASALESI
Nel 2006 l’opera prima del «Signore degli anelli» è già ampiamente pubblicizzata dai network editoriali locali e nazionali prima ancora di uscire. Franchini presenta uno sconosciuto Saviano agli amici descrivendolo come «uno scrittore potente che sta lavorando a un libro sulla camorra, una cosa mai vista» (Corriere della sera Magazine, ottobre 2006). Ma diventa un caso dopo che sull’Espresso e Repubblica spunta la notizia delle minacce e dell’assegnazione della scorta. È l’ottobre 2006 e Gomorra è in libreria da appena un paio di mesi.
Ma chi ha davvero minacciato Roberto Saviano? Qual è stata la scintilla che ha reso necessaria una protezione, per uomini e mezzi impiegati, inferiore a poche altre personalità? La risposta è: non si sa. A parte telefonate mute e lettere anonime denunciate da Roberto, tutto il resto si ignora. In un’occasione, a piazza dei Martiri, Saviano si vede additato da due giovani, e pensa che forse vogliano sparargli. In un’altra, un ristoratore gli chiede di non farsi più vedere nel suo locale. È un ordine dei clan, forse? No, solo la reazione (sopra le righe) di un commerciante che si sente offeso da un libro che, secondo lui, parla male della sua città.
La vulgata dell’antimafia di carta racconta che i Casalesi vogliono farlo fuori per vendicarsi dell’affronto subito durante la presentazione del libro, insieme all’allora presidente della Camera Fausto Bertinotti, a Casal di Principe. Ma i documenti che dovrebbero dimostrare il pericolo, e la sua attualità dopo 12 anni di protezione ininterrotta, non ci sono. Nessuno li ha mai visti. Anzi, esistono documenti che provano esattamente il contrario. E cioè che i grandi boss della camorra casertana non solo non hanno minacciato Saviano, ma sono stati addirittura assolti dall’accusa di aver intimidito, con la connivenza dall’avvocato Michele Santonastaso, lo scrittore, e la giornalista Rosaria Capacchione.
E IL PADRINO DISSE: LASCIATELO PERDERE
I padrini Antonio Iovine e Francesco Bidognetti erano finiti sotto processo perché, secondo l’accusa, d’intesa o comunque appoggiando la linea d’attacco del loro legale nei confronti di Saviano, avrebbero attentato alla sua vita. Il processo, che si è chiuso quattro anni fa a Napoli, con la doppia assoluzione per i boss casalesi e con una condanna (poi cancellata per il trasferimento degli atti a Roma, dove il fascicolo ancora dorme) per Santonastaso, ha, invece, dimostrato, oltre ogni ragionevole dubbio, che i Casalesi non hanno mai minacciato Roberto. L’ex super latitante Iovine, oggi pentito, nel giugno del 2016 aveva spiegato ai pm che lo interrogavano di non aver mai pensato di minacciare Saviano e addirittura di aver rimproverato il suo legale per la notorietà che gli aveva regalato: «Tu sei scemo, ma chi è, ma che ce ne importa a noi di questo Saviano?» raccontò Iovine ai pm antimafia riportando il discorso che lui stesso avrebbe fatto all’avvocato: «Santonasta’, ma perché non ti stai zitto con questo Saviano? Ma lascialo perdere…» gli avrebbe consigliato.
ANCHE le icone a volte chiedono SCUSA
Chi, invece, tiene bene a mente quel che Saviano ha scritto di lui è il presidente forzista della Provincia di Caserta ed ex sindaco di centrodestra di Pignataro Maggiore, Giorgio Magliocca. Fu accusato da Saviano, in un articolo del settembre 2003 su Diario, di aver avuto rapporti coi boss del suo paesino per vicende legate ai beni confiscati. Un’invenzione bella e buona a cui Magliocca (nel frattempo assolto e scarcerato da gravi accuse che lo avevano tenuto in custodia cautelare per quasi un anno) risponde con una querela per diffamazione. E Roberto che fa? Affronta il processo sicuro delle sue fonti? Difende fino alla fine la Sacra Parola contro la camorra? Macché. Resosi conto della bufala rifilata al settimanale, cerca sponde per farsi perdonare (per esempio si rivolge al politico casertano Mario Landolfi), quindi prende carta e penna e scrive a Magliocca per scusarsi. Tratto in errore dai tempi stretti della pubblicazione, Robertino non aveva controllato la «veridicità di quanto mi era stato riferito». Solo incalzato dalla querela, l’autore di Gomorra si era reso conto che «lo stesso boss non ha mai proferito la frase riportata nell’articolo»; frase a cui Magliocca era stato crocifisso a mezzo stampa. Qualche giorno dopo l’ex sindaco ritirerà la querela.
Cosa che non farà invece Vincenzo Boccolato, imprenditore residente all’estero e incensurato per la giustizia italiana, ma non per Saviano, che l’aveva falsamente accusato in Gomorra di far parte di un clan camorristico coinvolto nel traffico di cocaina. L’11 agosto 2018 Saviano e Mondadori libri sono stati condannati per diffamazione. Dovranno pagare 15 mila euro a testa di risarcimento a favore di Boccolato.
Una BRUTTA FIGURA tira l’altra
La star antimafia ha messo nel curriculum altri clamorosi scivoloni. In occasione dell’attentato davanti alla scuola a Brindisi, in cui perse la vita la giovane Melissa Bassi (2012), Robertino orientò subito le indagini sulla criminalità organizzata pugliese. L’autore dell’attentato era, invece, uno psicolabile. Due anni prima, in Trentino, aveva scatenato un putiferio parlando di una indagine dei carabinieri sulle mire della ‘ndrangheta calabrese sulla raccolta delle mele della Val di Non. Quando un militare del Ros, lo contattò al telefono – su delega della Procura – per chiedergli conto di quelle informazioni, lui rispose che non ne sapeva assolutamente nulla e che aveva lanciato quell’allarme come «monito».
E il fuoristrada Mehari del povero Giancarlo Siani? Nel 2013, lo scrittore di Gomorra inaugura il tour della memoria al volante dell’auto del cronista del Mattino ucciso dai clan nel 1985. E tutto orgoglioso afferma di essere stato il primo, 28 anni dopo quell’infame agguato, a rimetterla in moto. Gli risponde piccato Marco Risi che gli ricorda che la vettura era già presente nel suo film Fortapàsc. «Qualche volta dovrebbe anche tenere a mente il lavoro degli altri», lo mise in riga il regista.
O CON ME O CONTRO DI ME
Nonostante le magre figure, Saviano non ha mai abbassato le piume. Anzi la sua prosopopea è cresciuta nel tempo. Rendendolo permaloso e rancoroso. «Filetto» è un tipo decisamente fumantino. Insulta e denuncia a raffica. Tra le sue vittime anche il neodirettore del Tg2 Gennaro Sangiuliano. La cui nomina ha accolto con questo post di felicitazione: «Gennaro Sangiuliano direttore del Tg2, peggio non si poteva» e poi l’ha bollato come galoppino di politici chiacchierati. Qualche ora dopo Saviano si compiace: «Il neo direttore del Tg2 Gennaro Sangiuliano, dopo il mio post di ieri, minaccia querela. Si metta in fila, davanti a lui c’è il ministro della Mala Vita, suo protettore. I tg delle reti pubbliche trasformati in uffici stampa non sono cosa nuova, continueremo a resistere. Come continueremo a resistere alle intimidazioni».
Eroico Saviano. Insulta la gente e poi fa la vittima. Ma in pochi sanno che Sangiuliano è stato citato per danni (un milione di euro) proprio da Saviano e che la Rai, in disaccordo con il giornalista, ha deciso di transare per evitare problemi. Che cosa aveva detto di tanto grave il direttore? Aveva curato un servizio su una delle balle raccontate dallo stesso scrittore. La vicenda è ben ricostruita nel libro di Giancristiano Desiderio Vita intellettuale e affettiva di Benedetto Croce.
Sul finire dell’inverno del 2011 ci fu una polemica tra Saviano e la nipote del filosofo Marta Herling. Lo scrittore, in una puntata di Vieni via con me, aveva asserito che il grande pensatore, dopo essere rimasto sepolto sino al collo dalle macerie della propria casa durante il terremoto di Casamicciola del 1883, avrebbe offerto 100 lire ai soccorritori per essere salvato prima di altri concittadini. La Herling scrive al direttore del Corriere del Mezzogiorno, Demarco, testata con cui Saviano collaborava, per dire che Roberto aveva scritto cose «orecchiate e non vere». Saviano indispettito si fece ospitare nel tg di Enrico Mentana e nel salotto di Otto e mezzo di Lilli Gruber per difendere le proprie fonti, che però, scrive Desiderio nel libro, «si rivelavano indirette e secondarie». Demarco scrisse anche un paio di articoli per smontare la sicumera di Saviano, di cui uno intitolato: «Ecco dove Saviano ha scovato la falsa notizia su Benedetto Croce». Alla fine si scoprì che la leggenda, smentita dallo stesso filosofo in un paio di suoi tomi, venne innescata da un articolo anonimo del Corriere del Mattino che riportava una fonte altrettanto anonima del 31 luglio 1883, una voce che girava per Casamicciola. Ma per Saviano la notizia era troppo gustosa per non offrirla ai suoi sorcini come oro colato…
FONTE: PANORAMA.IT