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mercoledì, 18 Dicembre, 2024

PANE DI ALTAMURA: CANDIDATO A PATRIMONIO DELL’UNESCO

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di Martina Grandori

 

Un biglietto da visita, un fiore all’occhiello, un vanto di una tradizione contadina raccontata già nelle Satire da Orazio nel 37 a.C., quando tornò nei luoghi della sua infanzia (era nato a Venosa, Potenza) e descrisse quel pane come «il migliore del mondo, tanto che il viaggiatore diligente se ne porta una provvista per il prosieguo del viaggio». Nell’anno della pandemia, il Pane di Altamura, per Coldiretti, si conferma il pane più apprezzato dagli italiani, un meritato riconoscimento per questa pagnottona che dal 2003 si fregia della certificazione europea «Denominazione di Origine Protetta», anche grazie al lavoro svolto negli ultimi anni dal Consorzio per la Valorizzazione e la Tutela del Pane di Altamura DOP, e che in questi giorni ha ottenuto il sì unanime del Consiglio regionale della Puglia alla mozione, che invita la Regione Puglia a chiedere il riconoscimento del pane di Altamura come patrimonio culturale immateriale dell’Unesco. Una necessità «imprescindibile» per la regione e la Giunta trattandosi di un vessillo della cultura alimentare non solo pugliese ma italiana. Per capirne il suo valore, non solo gastronomico ma soprattutto culturale ed etico, è interessante la storia dell’Altamura.

La sua principale caratteristica mantenuta fino ad oggi – e riconosciuta da Orazio –  era la serbevolezza, peculiare attitudine dei prodotti contadini a conservarsi bene per un certo tempo, indispensabile per sfamare quei pastori nei lunghi periodi trascorsi nelle masserie disseminate tra le alture murgiane: una fetta di pane condito con sale, olio ed immerso nell’acqua bollente era il loro pasto principale.  

Altro aspetto chiave per comprendere la forte identità di questo pane, è capire la vita e l’economia ad Altamura nell’antichità. Da una interessante documentazione, la Leonessa delle Puglie già nel 1420 applicava il famoso dazio per il pane: c’era il divieto di cuocere a casa propria qualsiasi tipo di pane, un «bene del clero di Altamura e della comunità». Il pane era parte dell’economia locale, poteva uscire solo dal forno pubblico, pena un’ammenda pari 1/3 del costo complessivo della panificazione. 

Ma come nasce una forma di Altamura? Una miscela di farinato di grano duro, lievito madre, sale e acqua e un processo di lavorazione articolato in 5 fasi: impastamento, formatura, lievitazione, modellatura, cottura nel forno a legna. Ed erano queste caratteristiche a distinguerlo da qualunque altro tipo di pane. E non a caso fino agli anni Cinquanta era prassi annunciare all’alba per le strade del paese, il miracolo quotidiano della panificazione.

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