di Martina Grandori
Il 24 settembre è iniziata la raccolta delle olive italiane, la prima per l’olio nuovo 100% Made in Italy del 2021, la seconda da quando è in corso l’emergenza Covid, l’ennesima, invece, che risente sempre e ancora dei cambiamenti climatici.
Secondo le stime di Coldiretti, Unaprol e Ismea, questo raccolto 2021 vede un +15% di produzione rispetto al 2020, ma le aspettative in termini di quantitativi sarebbero maggiori, la domanda per l’oro giallo, re della dieta mediterranea, ingrediente fondamentale per la cucina di tutti i giorni o da chef stellato, non viene attesa. L’Italia non rientra più nel pool dei grandi produttori mondiali di olio, adesso a dettare legge sono Grecia e Spagna.
A giocare un ruolo fondamentale in questo scenario – che di certo non fa onore al Paese – la siccità e tutti i rovesci climatici improvvisi che hanno colpito lo Stivale, coinvolgendo in particolare il polmone olivicolo del nostro Paese, la Puglia, regione che produce la metà del prodotto italiano.
Un paradosso questa situazione di crisi produttiva di un alimento così importante: in Italia 9 famiglie su 10 consumano olio extravergine d’oliva tutti i giorni, con una crescente attenzione verso il prodotto di qualità che ha favorito anche il diffondersi di corsi di degustazione e ristoranti con il menù dedicato all’oro giallo. L’avvio della raccolta è il topos di un momento importante dal punto di vista economico ed occupazionale per una filiera che conta oltre 400 mila aziende agricole specializzate in Italia ma anche il maggior numero di oli extravergine a denominazione in Europa (42 Dop e 7 Igp), con un patrimonio di 250 milioni di piante e 533 varietà di olive, il più vasto tesoro di biodiversità del mondo.
Nonostante un sensibile incremento produttivo rispetto al 2020, frutto di un concreto miglioramento di alcune aree (punte del +40%) compensato al ribasso da altre zone, in generale la produzione pugliese resterà ben distante dagli standard tipici delle annate passate (200 milioni di kg). In Salento c’è grande attesa per i primi impianti di Favolosa, la varietà resistente al batterio della Xylella Fastidiosa, che entrano in produzione quest’anno. La Calabria si registra un lieve incremento, ma molto lontano dai tempi di produzione massima. In Sicilia qualche segnale positivo si vede – si potrebbe tornare a sfiorare la produzione di 40 milioni di chili – ma le precedenti tre stagioni non sono state da ricordare e le conseguenze sono tangibili.
Nel centro la situazione ha un ventaglio più amplio: a seconda della scarsità idrica i danni sono stati diversi, annata negativa per Toscana e Umbria (punte – 50%) che scontano andamento climatico incerto e potrebbero patire, a causa dell’umidità di questo periodo, possibili attacchi della mosca olearia, mentre tra le regioni centrali il Lazio mantiene pressoché invariata la produzione dello scorso anno.
ma in generale il centro conferma una produzione
Il Nord, per colpa di gelate che hanno fatto ritardare le fioriture e di disastrose grandinate, ha la maglia nera. La Liguria si stima abbia perso il 50% della produzione, idem l’Emilia Romagna. Ma in testa è la Lombardia, colpita da periodi di gelo e grande caldo che hanno ridotto al minimo la produzione (stime da -60 a -80%). per far fronte a questo scenario, Coldiretti ha presentato nell’ambito del Recovery Plan un progetto specifico per sostenere e incrementare la produzione nazionale di extravergine con reti d’impresa. “L’obiettivo è rilanciare la produzione nazionale dell’olio d’oliva per confermare il primato di qualità del Made in Italy – riporta il presidente della Coldiretti Ettore Prandini – attraverso la realizzazione di nuovi uliveti, di impianti di irrigazione e costruzione di pozzi o laghetti, anche in maniera consorziata, favorendo la raccolta meccanizzata delle olive con macchinari che riducano i tempi e costi di raccolta”. E Prandini conclude con “per questo non sono più rinviabili interventi strutturali di rinnovamento degli impianti e recupero degli uliveti abbandonati per consentire alla produzione di tornare sui livelli di eccellenza di dieci anni fa”. Speriamo, l’oro giallo è un patrimonio culturale che non merita di scendere dal podio.