Poco fuori Atene, un luogo dove giovani maschi solevano incontrarsi per gare ed esercizi sportivi sorgeva già nel VI secolo a.C. Per raggiungerlo, numerosi giovani ateniesi uscivano dalla porta del Dipylon ed attraversavano il famoso quartiere dei vasai prima e la necropoli della città dopo, camminando infine ancora per circa un chilometro e mezzo. Dopo questa passeggiata di quasi mezz’ora, finalmente si raggiungeva il luogo chiamato Akademia, ossia quel luogo preposto al culto locale dell’eroe Academo.
Akademia non fu, però, il solo nome dato a questo campo fuori Atene in cui i giovani solevano allenarsi o prepararsi alla guerra: proprio perché l’allenamento veniva fatto da nudi (gymnos, in greco), l’Accademia fu definita gymnasion, da cui l’italiano ginnasio per indicare i primi due anni del liceo classico. Oltre al gymnasion, collegato alla porta del Dipylon da una strada laterale, l’Akademia in origine presentava anche un altare a Prometeo[1].
L’importanza di questo luogo era, per tutta la città di Atene, senza precedenti: il famoso politico ateniese Cimone costruì, infatti, proprio qui, un edificio imponente per i giovani ateniesi utilizzando le sue finanze private. Oltre alla costruzione dell’edificio, Cimone fece irrigare i campi di quell’area, piantando e costruendo quel giardino lussureggiante[2] che sarà poi fondamentale per l’Accademia platonica che sorgerà di lì a poco.
È proprio quest’area così rinnovata che, nel IV secolo, acquisì un significato completamente nuovo quando Platone (428-348 a.C) aprì la scuola nei pressi dell’Accademia, non prima di aver inaugurato, nel 390 a.C. un tempio dedicato alle muse[3].
Le lezioni si svolgevano all’area aperta, proprio nei pressi di quei giardini ricostruiti da Cimone a sue proprie spese, utilizzando a questo scopo anche il teatro vicino ed una panca semicircolare posizionata proprio nei pressi del tempietto dedicato alle muse. Questo sistema di insegnamento fu poi ripreso anche da Aristotele e Zenone, nella fondazione del Peripato[4] e della Stoà.
La distanza dal centro città dell’Accademia platonica ci mostra come il suo fondatore intendesse il metodo di istruzione ivi adottato: gli studenti, o filosofi, dovevano condurre una vita dedita ai soli principi della filosofia, tenendosi in disparte dalla società vera e propria, senza però rifuggirla completamente. I frequentatori dell’Accademia si distinguevano però anche in altro modo dai cittadini ateniesi: «esercizi di ascesi, rinuncia alla sessualità e costosi abiti che non passavano inosservati li rendevano identificabili come filosofi»[5].
L’ambiente accademico era molto liberale anche dal punto di vista dei contenuti: laddove infatti i dialoghi platonici ci mostrano come dovevano essere ciò che oggi definiremmo “lezioni frontali”, sappiamo con certezza che gli studenti avevano accesso anche ad un gran numero di seminari, discussioni e conferenze per esercitarsi alle definizioni ed alle classificazioni, chiamate dihairesis.
Gli studenti, dunque, non erano invitati ad accettare le lezioni del maestro come dogmi religiosi, ma anzi erano fortemente incentivati ad elaborare un proprio pensiero, a formulare teorie e perfino a criticare quelle dello stesso Platone, qualora necessario.
Perché ricordare l’Accademia platonica è tanto importante?
Molto semplicemente perché, proprio come nel caso della scuola aristotelica del Peripato o della Stoà di Zenone, ci troviamo davanti ad una realtà scolastica ed educativa fortemente antitetica rispetto a quella contemporanea, fortemente influenzata invece dal principio dell’auctorictas della Scolastica medioevale.
Al di là di quei comportamenti oggi inapplicabili e superflui dell’Accademia platonica, possiamo dire con certezza che la scuola oggi abbia perso qualsiasi funzione dialogica ed umanistica, eliminando progressivamente ogni incentivo alla critica razionale, all’amore per la conoscenza, al contatto con il mondo naturale, introducendo, d’altro canto, sempre più nozionismo, sempre più dogmatismo, sempre più passivismo degli studenti. Lo studente oggi non è più un filosofo tout-court, un amante del sapere, ma è una semplice tabula rasa su cui gli insegnanti hanno l’ingrato compito di ascrivere nozioni che nel migliore dei casi risultano ripetitive, nel peggiore, fondamentalmente inutili.
L’attenzione al pensiero critico è stata abbandonata in favore di un dogmatismo per cui allo studente si è tolta ogni capacità di critica dell’insegnante, infallibile per definizione.
Ricordare questi modelli antichi, forse anche utopici, di come la scuola dovrebbe essere nel costruire i rapporti allievo-insegnante e studente-sapere, potrebbe aiutare oggi a ricostruire una nuova educazione in cui, per davvero, ogni allievo possa tirare fuori da sé ciò che è meglio per se stesso, seguendo la sapiente guida del proprio insegnante, ma riservandosi il fondamentale diritto di non essere d’accordo.
[1] M. Zimmermann, I luoghi più strani del mondo antico, Einaudi, Torino 2019, pp. 132agg.
[2] Plutarco, Cimone 1,3
[3] M. Zimmermann, I luoghi più strani del mondo antico, Einaudi, Torino 2019, p. 132
[4] M. Bonazzi, R. L. Cardullo, G. Casertano, E. Spinelli, F. Trabattoni, Filosofia Antica, Cortina Editore, Milano 2005, pp. 229-237
[5] M. Zimmermann, I luoghi più strani del mondo antico, Einaudi, Torino 2019, p. 133
di Stefano Sannino