di Gabriele Rizza
Ogni epoca ha la sua fase buia e calante. Fatta di errori, orrori e violenza, e sempre sulla violenza si è fondata ogni nuova epoca. Non possiamo certo dire lo stesso dei nostri anni. Una fase buia fondata sull’ignoranza, sul semplicismo anziché sulla complessità. È l’era del ridicolo, del tempo che va via sempre più veloce, del sensazionalismo e del pettegolezzo come fondamento del consenso politico e culturale.
Un’era che riesce a trasformare una sacrosanta battaglia contro gli abusi della polizia negli USA e il razzismo (che, ricordiamolo, è tipico del nord delle Americhe e d’Europa e non del sud) in una parata mediatica, infantile e ignorante, che vive dell’oggi, e del domani non ne ha la minima coscienza. Che non porterà a nessun cambiamento. Passerà e basta, senza lasciare traccia. Come tutti gli altri eventi, che non lasciano traccia appena la tv passa la prossima notizia. Solo il Coronavirus, in quanto frutto della natura, ci ha fatto riscoprire cosa non è stile e consumo, ma continua lotta per la sopravvivenza. I segni dureranno il tempo di un giro sui social e di qualche autocelebrazione di ragazzini senza coraggio, come nel caso del video dell’imbrattamento della statua di Montanelli a Miliano, pubblicato dai militanti della Rete Studenti Milano. Molti autori sbagliano a presentare teorie orwelliane, è solo vizio: trasformare una battaglia di civiltà in esibizionismo.
Un’era che non ha dato vita a nessun nuovo filosofo o guida spirituale di nuove spinte innovatrici. In Italia la massima espressione della scrittura è Roberto Saviano e i nostri giovani manifestano in nome di Greta. Almeno i sessantottini avevano Herbert Marcuse, e nessuno si ricorda più di Herbert Marcuse. Pensate un po’!
Ma è facile sparare parole contro i nostri millennials, viziati dall’ottenere ogni cosa subito e adesso, come il successo facile quanto vacuo, di followers e complimenti. Pensiamo a casa nostra, ai nostri governanti e aspiranti governanti.
Laura Boldrini e la sua cricca culturale si inginocchiano in Parlamento per uno spot contro il razzismo, quando invece avrebbero l’opportunità e l’onore di lavorare in quella sede per abbattere la povertà in Italia, degli stranieri inclusi; perché sono le bombe sociali che innescano sentimenti di rabbia e rancore. E le bombe sociali le creano i potenti, e i potenti, sfruttatori e malavitosi non si combattono di certo davanti i fotografi. Poi magari vinceremo la battaglia per i diritti civili, e gli studenti progressisti e colorati saranno contenti con l’affitto pagato dai genitori, ma magari con il loro amico immigrato che non potrà permettersi gli studi.
C’è poi il nostro Premier, Giuseppe Conte. Tanto bassa è la nostra invettiva culturale che chiama Stati Generali gli incontri di Villa Pamphili, a base di stuzzichini. Riferimento senza nessuna congruenza storica e nemmeno farina del nostro sacco. Ma francese, visto che Macron da anni non fa altro che dimostrare di essere così tanto vicino all’Italia. Anche troppo vicino.
Tutto diventa spot. Le notizie si macinano a milioni e le idee restano formiche schiacciate dai sassi del conformismo. Inseguiremo il tempo, sempre più in affanno. Eppure è dal tempo che dobbiamo ripartire. Dal tempo lento. Che matura. Come quello della lettura. Perfetta antitesi della rèclame culturale ed elettorale che ha fatto dell’Italia un paese senza più coscienza.
Leggere e godersi storie, su carta o sul web. Un paese senza storie non scriverà mai la storia. E le storie sono l’antitesi del consenso basato sull’oggi, perché per arrivare al lieto fine c’è molto da soffrire.
Ernst Junger direbbe di passare al bosco, a noi basterebbe passare alla lampada. Per trovarci infine alla luce del sole.