di Gabriele Rizza
Può sembrare assurdo, ma c’è una logica ben precisa certificata dal Ministero del lavoro: senza green pass decade il reddito di cittadinanza. Sappiamo come dal 15 ottobre il green pass è obbligatorio per il luogo di lavoro, e cambia poco che sia ottenuto tramite vaccino o tampone ogni 48 ore, se non che il costo del tampone è a carico del cittadino. E, almeno in teoria, il reddito di cittadinanza vieta di bivaccare sul divano e obbliga i beneficiari ad aderire ai Puc, ossia i progetti utili alla collettività nel Comune di residenza per almeno 8 ore settimanali, se non 16. Quindi il beneficiario del reddito sponsorizzato dai grillini in teoria lavora, e se a lavoro non puoi andare perché senza green pass, l’assenza diventa ingiustificata e fa decadere automaticamente il reddito. Bisognerà aspettare l’anno successivo per fare una nuova domanda. Del resto, una nota del Ministero del lavoro parla chiaro: “Al beneficiario che non intende dotarsi del green pass si può suggerire di rinunciare al RdC per evitare la decadenza (in tal caso la nuova domanda può essere presentata dopo 18 mesi)”.
Può sembrare assurdo, perché l’ideologia del reddito di cittadinanza è quella di una politica sociale attiva, di contrasto alla povertà, e quindi anche per uscire dalla povertà occorre il green pass. Per quanto ogni misura sia utile a fare crescere il numero dei vaccinati, forse questo passo del governo può essere considerato anche solo simbolicamente troppo spinto: la lotta alla povertà prescinde vaccino e tamponi. Tuttavia, è da riconoscere il punto debole di questa misura approvata dal governo “gialloverde”, e cioè la duplice natura di contrasto alla povertà e di inserimento nel mondo del lavoro: proprio qui sta il fallimento già constatato da due anni a questa parte. E questa vicenda del green pass non è che un’altra prova della confusione che aleggia intorno al reddito di cittadinanza fin dalla sua nascita.