di Martina Grandori
Nessuna novità se ci si pensa, la moda è sempre stata infatuata dal rétro. Il passato è sempre stato un baule delle meraviglie da cui gli stilisti hanno attinto per ispirare la loro matita. Nei Settanta Yves Saint Lauren vestiva le sue modelle rifacendo abiti da sera e platform ispirati a quelli anni Quaranta di sua madre, in breve quelle mise divennero sinonimo di una nuova epoca. Gli fecero eco icone del calibro di Paloma Picasso e Lolou de la Falaise, grandi appassionate di abiti autentici, il fenomeno vintage era già una moda. Poi arrivarono gli anni dell’esagerazione, dell’appariscenza, gli anni Ottanta e il fenomeno dell’usato chic fu messo da parte ma non per molto. A fine Novanta resuscita e fa di nuovo tendenza, le boutique come Decades e Resurrection a Los Angeles e Rellik a Londra fanno furore, sono il tempio di quei abiti già indossati, perfettamente conservati, preziosi, irraggiungibili perché costosissimi. In parallelo c’è un altro vintage, quello un po’ ammuffito, senza verve – ma decisamente più democratico – sulle bancarelle dei mercatini: vestiti bruttini in vendita a pochissimo. Negli ultimi anni, ma soprattutto da marzo 2020 ha preso forma un terzo tipo di vintage, quello che guarda al concetto di sostenibilità, di riutilizzo per un discorso etico e anche economico, un nuovo sentire delle ultime generazioni (Millennial e Gen Z) che corrisponde a due parole, qualità ed economia circolare.
Il mercato second hand cresce a ritmi incredibili, con la pandemia tutti hanno messo in discussione abitudini di prima e cercano soluzioni più ecocompatibili. Si è capito che la sostenibilità si attua anche comprando l’usato, l’upcycling è diventato un vanto per i marchi di moda. Maison Margiela con la linea Recicla costruita su capi che recuperati nei negozi dell’usato, vengono poi decostruirli e rielaborarli. Levi’s SecondHand, un programma green dove il brand ritira nei negozi jeans usati, in cambio dona un voucher, e i capi, una volta sistemati, verranno messi in vendita online per offrire loro una seconda vita. Miu Miu ha presentato durante i Green Carpet Fashion Awards, Upcycled, una capsule di 80 abiti vintage prodotti tra gli anni Quaranta e i Settanta rimaneggiati con il gusto contemporaneo per essere poi venduti in boutique. A ottobre, Gucci ha annunciato una partnership con RealReal (sito di vendita incentrato sull’economia circolare) per ottenere uno spazio specifico sulla piattaforma, proprio come già fatto da Stella McCartney e Burberry. I segnali sono fortissimi, la moda vintage, la moda che recupera capi e li rivende a fronte di scelte pro-ambiente, la moda del riciclo è uno dei grandi filoni, positivi, che le maison e le start up seguono e studiano, un esempio di economia circolare che unisce perfettamente il bellissimo, terapeutico aspetto frivolo della moda, ad uno più responsabile. Ne è un esempio Display Copy, patinato semestrale cartaceo americano dedicato alla moda usata, al vintage, al mondo dell’upcycling. Un progetto editoriale azzeccassimo, contribuire a migliorare le condizioni del pianeta è un discorso di moda.