di Stefano Sannino
Le sfilate di Milano stanno per giungere al termine e per chi ha avuto modo di seguirle dal vivo o in via telematica, è chiaro che si sia delineata una nuova tendenza estetica, fondata sul senso di rinascita e sulla necessità di rinnovamento dopo un periodo di crisi.
Va ricordato infatti che oltre ad essere direttori creativi, i grandi stilisti sono prima di tutto imprenditori che hanno sulle spalle la responsabilità di centinaia di posti di lavoro e di milioni di euro di fatturato annuo. È quindi comprensibile che nella propria ricerca estetica, questi grandi della moda abbiano guardato alla rinascita, come principio di rigenerazione dalla morte, riportando in auge colori sgargianti ed antitetici, talvolta soavi tal altra più duri.
Se infatti in questa fashion week abbiamo visto un’unica tendenza, ovvero la rinascita, possiamo anche individuare due diverse interpretazioni di questa esigenza, l’una ben rappresentata dalla sfilata di Elisabetta Franchi, la quale ha portato in passerella abiti romantici con colori pastello tipici della primavera e l’altra incarnata da Versace con la sua interpretazione ipermoderna del color-blocking, immerso nell’atmosfera di una civiltà perduta e subacquea.
Qualunque sia la declinazione che la creatività degli stilisti ha preso, è però evidente che la moda debba rimettersi in piedi e tornare agli splendori di una volta e questa fashion week è sicuramente un primo passo nella giusta direzione.
Certamente, non vi sono state sfilate gremite di gente e di turisti curiosi, non ci sono stati after parties o eventi affollati, ma il fatto che i brand abbiano deciso di scendere comunque in passerella e di lanciare il loro messaggio di speranza e di rinascita è sicuramente un segnale che verrà colto e riprodotto in tutto il mondo, in un periodo in cui di rinascita c’è l’esigenza fisiologica.
E se rinascere vuol dire reinventarsi, è altrettanto chiaro che non si potrà riproporre la moda allo stesso modo di come è stata proposta finora, bensì bisognerà reinventarla, modificarne i pattern, cambiarne le tempistiche: tutto dovrà essere reinventato per poter trovare riscontro in un mondo completamente diverso da quello che era fino a febbraio di quest’anno.
Milano ha quindi rappresentato un grande banco di prova, divenendo il simbolo di una città e di un sistema che rinasce, che si rimette in gioco dopo mesi di fatturati negativi, di un’esigenza tutta umana, di non piegarsi davanti alle avversità, ma di utilizzare queste avversità per imparare a migliorarsi, a puntare ancora più in alto.