Ricorderete la vicenda di Dolce e Gabbana che erano stati condannati il 19 Giugno dello scorso anno per omessa dichiarazione d redditi in primo grado per vicende del 2004. (Ah, la Giustizia in Italia !).
In quell’occasione, a causa della solita supponenza della sinistra che rasenta la spocchia, ritenendosi migliore di chiunque, unita all’incapacità di preoccuparsi solo di ciò di cui si è deputati, l’Assessore al Commercio del Comune di Milano, Franco d’Alfonso, si lanciò in una intemerata quanto improvvida dichiarazione affermando che: “A mio modo di vedere non bisognerebbe concedere gli spazi simbolo della città a personaggi famosi e marchi vip che hanno rimediato condanne per fatti particolarmente odiosi, in questo momento di crisi economica, come l’evasione fiscale”, giustificando questa affermazione con il fatto che il Comune era in quel momento obbligato (?!? questo dimostra quanto siano distorti nel vedere le cose a sinistra) ad aumentare le imposte a cominciare dall’Irpef.
La reazione da parte di Stefano Gabbana non si fece attendere e con una serie di tweet, stigmatizzò a suo modo l’uscita dell’assessore: “Comune di Milano Fate schifo!!!” “Vergognatevi!!! Ignoranti” e “fate schifo e pietà!!!”. il giorno dopo, l’indignazione di D & G si fece più concreta, in quanto decisero la serrata per protesta per tre giorni di tutte le loro attività (N.d.r.: 9 esercizi commerciali) a Milano, assicurando però la retribuzione delle oltre 250 persone impiegate in città ed arrivando a fare una pubblicità con la scritta “Chiuso per indignazione. Closed for indignation”.
In seguito a questo, ci fu la classica arrampicata sugli specchi dell’Assessore, (il quale si è sicuramente guadagnato un posto nella memoria collettiva e forse nella storia di Milano con questa sua uscita; come Assessore, invece, si vedrà), e ci fu pure la stura di affermazioni varie, dal sostegno in un tweet di Briatore alle dichiarazioni del Governatore della Lombardia, Roberto Maroni.
Ieri, la vicenda si è arricchita di un nuovo capitolo: è accaduto che il sostituto Procuratore Generale (P.G.) della Repubblica, Dott. Santamaria, nella sua requisitoria ha affermato che: “Sapete cosa significa per un’azienda avere la Guardia di Finanza in sede? Per Dolce e Gabbana l’invasione della G.d.f. è stata anche un colpo alla credibilità del marchio” ricordando la “libertà di iniziativa economica” e che gli stilisti Domenico Dolce e Stefano Gabbana sono “impegnati tra stoffe, modelli, modelle, ricevimenti, sono dei creativi e non me li immagino a gestire schemi di abbattimento fiscale”.
Tutta la questione nasce dal fatto che D & G avevano costituito nel 2004 una società in Lussemburgo, la Gado, ritenuta fittizia dal Fisco Italiano, allo scopo di ottenere vantaggi fiscali. Tra l’altro, il P.G. ha sostenuto che in realtà D & G hanno pagato le tasse e che la creazione della Gado sia in realtà legittima. Inoltre, secondo il sostituto Procuratore Generale, che ricordiamo rappresenta la pubblica accusa, Dolce e Gabbana “invece di pagare le tasse in Italia hanno pagato solo il 4% sulle royalties in Lussemburgo”. Il magistrato ha poi ammesso che “come cittadino contribuente italiano posso indispettirmi e magari sono contento che la Finanza accenda un faro”, ma, “come operatore del diritto devo dire che sono operazioni legittime, che la cessione dei marchi rientra nelle libere scelte imprenditoriali e va tutelata con il principio sacrosanto della libera circolazione dei capitali nel mercato”.
In questo modo, ha poi continuato il P.G. “Dolce e Gabbana hanno pensato in grande come un grande gruppo in espansione nel mondo. Pensavano alla quotazione in Borsa per porsi alla pari degli altri grandi gruppi nel settore e sono andati in Lussemburgo perché là c’è un regime fiscale capace di attrarre capitali e attirare investitori internazionali”. Infine, ha fatto anche rilevare che anche se è vero che “Gado ha pagato solo il 4% di imposte sulle royalties in Lussemburgo, poi è anche vero che i dividendi sono stati tassati in Italia e il prelievo complessivo è arrivato quindi al 32% e non è vero, dunque, che non hanno pagato le tasse in Italia”. Il 4 Aprile è prevista la sentenza, che comunque non è detto metta la parola fine alla vicenda, in quanto c’è sempre il terzo grado di giudizio al quale la parte soccombente potrà ricorrere. Quindi la cautela nel commentare, quella che l’Assessore D’Alfonso a suo tempo non ebbe, è d’obbligo.
Essendo in Italia, notiamo anche che un parallelo giudizio penale, per la medesima vicenda, sta avendo un suo percorso autonomo, a dimostrazione che la Giustizia nel nostro Paese è a volte simile ad una cabala.
Registriamo anche la nota emessa dal Consigliere Comunale e Coordinatore Cittadino di Forza Italia di Milano, Avvocato Giulio Gallera, che, ricordando la vicenda, rimarca che “Allora l’Assessore l’aveva sparata davvero grossa attaccando uno dei settori più importanti della nostra economia e della nostra immagine nel mondo. La dichiarazione aveva difatti innescato una forte diatriba tra Comune e stilisti, causando anche un danno economico visto che per protesta Dolce e Gabbana avevano deciso di chiudere lo store milanese”
Questa poi continua affermando che ”Milano, agli occhi della comunità internazionale, è apparsa come una città che penalizza il mondo della moda causando un grave danno all’immagine di Milano, visto che la notizia ha fatto il giro del mondo, tanto che il sindaco si era visto costretto a sproloqui e piroette rocambolesche nel tentativo di aggiustare il tiro”.
L’Avvocato, nella sua nota, prosegue ricordando che già lo scorso anno Forza Italia aveva dichiarato che ‘Il Comune non è un tribunale’ esprimendo poi “la massima solidarietà agli stilisti Dolce e Gabbana contro le improvvide e giustizialiste dichiarazioni dell’assessore D’Alfonso”. La nota poi osserva che sono ”dichiarazioni che, oggi, appaiono ancora più gigantesche e clamorose di allora, vista la richiesta di assoluzione del sostituto procuratore per i due stilisti perché il fatto non sussiste”
Infine, il Consigliere Gallera a concluso la sua nota con una richiesta: “L’assessore D’Alfonso chieda pubblicamente scusa ai due stilisti e si dimetta; eviteremo così che Milano in futuro possa nuovamente essere esposta al pubblico ludibrio”.
Fabio Ronchi