di Martina Grandori
Quest’anno il 1 settembre si porta dietro tante tante responsabilità. Il 1 settembre in fin dei conti è il vero capodanno, altro che 1 gennaio. Il 1 settembre si ricomincia, il 1 settembre la cara e vecchia routine torna a bussare alla porta.
Quest’anno più che mai sulle spalle del 1 settembre si sono depositate tante aspettative, l’Italia simbolicamente riparte, deve farlo. E lo cerca di fare anche Milano, città flagellata dall’effetto malefico di quel lockdown che le ha tarpato quelle ali grandi, forti che da Expo in poi l’hanno lanciata nell’Olimpo delle città più vitali al mondo.
Da dove quindi ricominciare se non da un aperitivo? Attenzione, non è uno stupido invito ad assembramenti e comportamenti irresponsabili, non è una chiamata in stile Giuseppe Sala in concomitanza dell’inizio della pandemia. È un appello a riconsiderare quella socialità al tramonto con un approccio più filosofico che di massa, riconsiderare e riflettere sul valore di uno appuntamento che ha segnato il modo di vivere dei milanesi e degli italiani.
Milano lo sanno tutti è la capitale di questo rito dell’imbrunire, un rito che è diventato una sorta di brand della Madonnina e che in alcuni luoghi è più iconico che mai. Come da Camparino, storico locale in piazza Duomo che pochi mesi prima del lockdown (novembre 2019) aveva riaperto in grande stile dopo un restauro e una partnership con Davide Oldani per la parte food. Dopo più di due mesi di chiusura, Camparino ha riaperto e all’inizio dell’estate come auspicio al ritorno alla normalità, è stato inserito nella lista dei cocktail Compadre, in spagnolo padrino di battesimo, ma anche compare, amico, insomma, una persona alla quale si è legati da affetto sincero, un incipit a condividere un momento piacevole con qualcuno di piacevole.
Bere un aperitivo non vuol dire movida, gentaglia e degrado culturale, almeno non in certi luoghi. Bere un drink al bancone di Camparino è modo di ritrovarsi a chiaccherare, un momento di frivolezza, di libertà, di scambio di opinioni, di confronto. Un momento per superare quel blocco energetico causato dal distanziamento sociale che a lungo andare ha fatto e fa molto male all’animo umano.
Purtroppo ce ne si sta rendendo conto ora, prima la socialità era scontata, aveva forse assunto un sapore più sciapo, la socialità era qualcosa di cui non si poteva fare a meno, ma a cui al tempo stesso non si dava il grande valore che invece ha, e di cui il mondo ha realizzato l’importanza ora.
Perché parlare solo di Camparino? Semplice, perché è uno dei luoghi simbolo dell’aperitivo milanese, nel 1867, Gaspare Campari, fondatore della società, inaugurava l’omonimo caffè, ristorante con vista sul Duomo, assecondando il classico binomio casa e bottega: al piano superiore l’imprenditore viveva con la sua famiglia, e il figlio Davide. La data di fondazione del Camparino in Galleria che conosciamo oggi recita 1915: una città in fermento, il passaggio di secolo, la corrente del Futurismo con il suo turbinio di novità si ritrovava proprio in quel locale, gioiellino Liberty. Quanti scatti hanno fatto i turisti al il mosaico floreale di Angelo d’Andrea, ai lampadari Liberty di Alessandro Mazucotelli, o al bancone di legno originale firmato all’inizio del secolo dall’ebanista Eugenio Quarti.
Ora ai milanesi, e non solo, il compito di mettercela tutta, l’operosità meneghina è indispensabile per un riscatto dalla palude portata e lasciata dal Covid. Milano ce la farà, e ripartirà da quelle bollicine del Campari Spritz che tutto il mondo ci copia.