<span;>di Abbatino
<span;>Non c’è che dire, la testardaggine di Conte sfida la matematica del parlamento con disinvoltura. Dopo l’effimera vittoria, dopo un buon bicchiere di vino, si torna alla realtà. Il gusto è buono, l’olfatto gradisce, ma se non digerisci bene lo sai solo dopo qualche ora. E così è stato. Passano pochi giorni e subito da Mattarella, il presidente della repubblica, che rimette a posto gli entusiasmi e frena i sogni. Una settimana? Dieci giorni? Appena possibile trova una maggioranza e ritrova la squadra di governo. Così taglia corto L’uomo del colle. Perché lui sa che senza numeri si va poco lontano, anzi si va a casa alla prima occasione. Basta un’assenza, uno sgarbo al senatore ritardatario o al transfuga di turno per tornare alle urne. Le urne, quelle cinerarie del governo giallorosso si scontrano con le altre urne, quelle degli italiani che aspettano che esca fuori un governo capace di governare. Non un governo qualunque come fanno ad intendere i filosofi della sinistra e gli opinionisti progressisti. Un governo vero, che decide, con l’autorevolezza da un lato, ma con il consenso dall’altro, legittimato dal voto. L’arbitro del Quirinale deve poter scegliere, dimostrando di non essere di parte anche se una parte lo ha messo lassù per tutelarsi. Adesso può permettersi di fare l’arbitro, a pochi mesi dal semestre bianco. Appunto, non faccia il sepolcro imbiancato, sia il sale della terra, della democrazia. In Italia si vota per il sindaco direttamente, per il governatore regionale direttamente, ma non si può decidere direttamente chi governa per 5 anni. Da quel colle si vede il mare e nel mare della politica quello che più conta è saper decidere. Bene.