di Abbatino
L’avevamo detto che sarebbe finita così: dalla scheda bianca alla balena bianca. In un attimo si è sciolta la strategia di Salvini, si è silurata quella di Berlusconi con la Casellati, si è fatta arrabbiare la Meloni. Scontentato mezzo PD e mezzo Movimento Cinque Stelle. Praticamente nessuno ha vinto, e l’Italia ha perso l’occasione. Perché tutto ciò? Perché ancora lui alla settima votazione? Lui che aveva detto di non pensarci più e che già aveva le valigie in macchina? È facile capire: il Parlamento non è il Paese. Il Parlamento non è l’Italia profonda. È l’Italia mediata, impallata, appesantita da una costituzione di settanta anni fa che prevede un meccanismo astruso e obsoleto di elezione che, in fondo, è una nomina, non una elezione. Il parlamentarismo acuto, insieme alla legge elettorale porta a governi ammucchiata arcobaleno, senza direzione politica, senz’anima, solo tecnocrati nominati in barba agli elettori. Una truffa bella e buona del voto degli elettori. Se queste erano le premesse non potevano che riflettersi sulla nomina del Capo dello Stato: un democristiano, già Presidente, che sta bene a tutti e a nessuno. Un compromesso al ribasso alla settima votazione che umilia la politica, umilia lo stesso presidente, ritenuto di ripiego, non una prima scelta. Una nomina come di un normale burocrate, non un’elezione. Perché se di elezione vogliamo parlare, spetta al popolo italiano, non alla mediazione imposta dalla carta costituzionale, eleggere il suo Presidente della Repubblica. Vetusta la forma, obsoleto l’ingranaggio. L’Italia è matura per non avere compromessi al ribasso, ma se non cambia la carta costituzionale non saremo mai in grado di uscire dalla palude della solita balena bianca, che politicamente è morta trenta anni fa, ma rivive nei metodi e nelle alchimie, continuando a scegliere i Capi di Stato come lo scorso secolo.