di Martina Grandori
Sono diventate la nuova quotidianità, impensabile uscire di casa senza averne una indosso, non farlo sarebbe come uscire senza portarsi dietro le chiavi. Impensabile.
Eppure, da quando è scoppiata la pandemia, ecco che si palesa l’ennesimo problema ambientale legato al riciclo: come smaltire le mascherine? Dove andrebbero buttate? Purtroppo per le strade è sempre più alto il numero di questi dispositivi sanitari gettati per terra come mozziconi di sigaretta.
Dopo aver gridato al miracolo perché l’aria era più pulita, gli animali erano tornati indisturbati a ripopolare anche habitat urbani, i prati erano uno splendore, le chiome degli alberi gonfie e ricche di foglie verdi, ecco che l’animo incivile torna protagonista.
Nella Fase 2, secondo il Politecnico di Torino, erano circa 1 miliardo le mascherine e mezzo miliardo i guanti in lattine che venivano impiegati ogni settimana. Ora che le scuole hanno riaperto, che in molti sono tornati in ufficio e che per paura dei contagi, ad onor del vero, nelle città tutti portano la mascherina, i numeri di consumo sono solo aumentati, anche perché quelle chirurgiche hanno una validità di 4 ore, poi andrebbero buttate.
Il rischio è creare una nuova fonte di inquinamento, quel tessuto-non tessuto è ancora più inquinante della plastica. Una vera bomba ecologica che nessuno ha ben pensato come gestire. La scelta più sostenibile – sia dal punto di vista ambientale che economico – sarebbe optare per le mascherine di tessuto, lavabili e riutilizzabili, ma c’è sempre poi il problema della tempistica: se la lavo e non è asciutta e pronta per quando devo riuscire come faccio?
Ecco quindi che in molti scelgono quelle chirurgiche, che hanno un potenziale inquinante assai elevato, il WWF stima che se solo l’1% delle mascherine finisse disperso in natura, avremmo 10 milioni di dispositivi in natura in poco tempo. Fondamentale il vecchio discorso dell’educazione civica, della sensibilizzazione dei cittadini al problema ambientale, imparando che le mascherine vanno gettate nell’indifferenziata, e se ci fosse positività al Covid, pure ben chiuse in sacchetti di plastica per evitare di mettere in pericolo altre persone.
Già durante il lockdown si era parlato dell’emergenza dei rifiuti ospedalieri legati al Covid, si erano viste enormi quantità di sacchi fuori dagli ospedali in attesa di essere correttamente smaltiti nei termovalorizzatori che ovviamente in Italia non sono abbastanza, rendendo la gestione dei rifiuti insostenibile.
Enea, Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, da mesi chiede che si studi e attui un piano per una nuova filiera sostenibile dei dispositivi di protezione prima che il sistema collassi. Enea propone mascherine che siano fatte con un unico polimero e materiali che possano poi essere riciclati. Inoltre serve la tracciabilità. Le idee allo studio sono tante, Enea pensa a dei dispositivi con il solo filtro staccabile e lavabile, riciclabile, ma anche appunto a mascherine che contengano un solo polimero, aiutando a ripensare l’intera filiera italiana. Come sempre i grandi cambiamenti possono iniziare a nascere da piccoli gesti, iniziamo a buttare le mascherine nell’indifferenziata e non per strada.