di Stefano Sannino
Fin da bambini, le favole ed i film, ci hanno abituato a dividere il mondo e le persone in due categorie diverse e distinte: quella dei “buoni” e quella dei “malvagi”, inducendoci così a pensare che nella vita tutto fosse bianco o nero, buono o cattivo, togliendoci il gusto della sfumatura e della diversità.
Fortunatamente però, negli ultimi anni, si è registrata una tendenza cinematografica diversa – almeno per quanto riguarda i grandi classici Disney di un tempo – con l’uscita di film che hanno come protagonisti i grandi cattivi della nostra infanzia. Fece scalpore, qualche anno fa, il film “Maleficent” che raccontava la storia della “Bella Addormentata nel Bosco” dal punto di vista della “strega cattiva” ed altrettanto scalpore ha fatto in queste settimane il film “Crudelia” che racconta – più o meno con lo stesso punto di vista – la storia de “La carica dei 101”.
Ciò che è interessante notare, non è tanto come si sia creata la necessità di esplorare nuovi punti di vista in una storia, ma come di fatto questi punti di vista riescano a giustificare quei comportamenti malvagi, che da piccoli non riuscivamo proprio a comprendere. Certo, i film spesso sono variazioni per adulti, o per fasce di età diverse dai bambini piccoli, ma pongono gli osservatori nella posizione di comprendere che non tutto è bianco o nero come ci insegnavano da piccoli, e che – se i cattivi agiscono come agiscono – non è solo perché nomen omen, ma anche per la loro storia, per il passato e per il loro trascorso. All’idea che una persona malvagia fosse malvagia solamente perché questa era la sua natura, si è quindi sostituita negli ultimi anni l’idea che nessuno nasce malvagio: lo si diventa, piuttosto, quando la vita ci pone davanti a dei dolori troppo grandi.
In particolare, la recentissima esperienza del film “Crudelia”, non solo ci porta a simpatizzare per la “cattiva per antonomasia”, ma riesce addirittura ad invertire i ruoli di buono e cattivo, mostrandoci una parte della storia inedita – e sicuramente romanzata – che a sua volta ci dimostra come tutto nella vita sia soggettivo e come ciò che può apparire come buono, in realtà non sia che più malvagio dei cattivi stessi.
Il merito di film come “Cruella” o “Maleficent” non è quindi un merito cinematografico o artistico, ma più che altro morale: essi ci costringono a guardare all’evidenza che non tutto può essere suddiviso in categorie, che c’è sempre (o quasi) una giustificazione per i comportamenti umani e che essere diversi, non è uno svantaggio, ma un fattore di unicità.