di Susanna Russo
“Tutti siamo soli e il Cinema, per convergenze misteriose, allevia il dolore della solitudine che alberga in ognuno di noi”, queste le parole di Paolo Sorrentino rilasciate nel corso di un’intervista per La Stampa di qualche tempo fa.
Ciò che il regista non precisa, è se i dolori che il cinema è capace di alleviare siano quelli di chi il cinema lo fa, o di chi del cinema ne gode seduto in poltrona, forse perché lenisce le fatiche emotive di entrambe le categorie. Per gli attori vi è però una sfumatura in più, perché molto spesso ciò che è antidoto è anche veleno, e viceversa.
Una certa vena malinconica appartiene a tutti gli artisti, questo è risaputo, è il motore che li tiene accesi, li illumina e li ispira, che incanala le tristezze e le trasforma in qualcosa di produttivo piuttosto che distruttivo.
Ciò che differenzia un attore da un poeta, da un pittore, da un musicista e da un qualsiasi altro profilo creativo, sono la pressione costante, una vita in scena, sotto gli occhi vigili e critici di chi ascolta e guarda, tutto regalato, ogni gesto, sguardo, parola, emozione, respiro. La malinconia per gli attori diverta circolo vizioso, la si cede al proprio lavoro senza condizioni, e appena spenta la cinepresa, appena abbassato il sipario, ce la si riprende tutta intera, ci si naviga dentro, aspettando di poterla regalare nuovamente, di condividerne il peso, alleviarne la fatica. Aspettando. Perché poi è su questo che si costruisce la vita dell’attore, sull’attesa, che ingigantisce ed intensifica ogni inquietudine ed ogni tristezza.
La malinconia è il punto di forza e il tallone d’Achille d’ogni artista. Lo sanno anche gli attori più giovani, come Benedetta Porcaroli, che intervistata da Vanity Fair dichiara: “il mio sentimento preferito è la malinconia, credo che al cinema mi scelgano per questo”.
Consapevolezza sicuramente più approfondita di questo stato dell’essere è appartenuta, ad esempio, a Vittorio Gassman, descritto anche come “un gigante pieno di malinconia”, o al celeberrimo Monicelli, capace di rendere, anche attraverso la sua alta comicità, mestizia e struggimento.
L’attrice Valentina Cervi, figlia del grande Tonino Cervi, parlando del padre ha dichiarato: “di mio padre ricordo una grande malinconia, che andava sempre a braccetto con creatività ed amore, l’ottava bassa era la depressione, l’ottava alta era la comprensione”.
Nemmeno Alain Delon si è nascosto dietro un dito, confessando di essere sempre tormentato dal fantasma della depressione e descritto da chi gli sta intorno come solitario, malinconico e nostalgico.
Questa è la condanna di chi sceglie, o forse viene scelto, per intraprendere questo percorso professionale, ma anche esistenziale, nascere malinconico e crescere nostalgico, provando forse, in alcuni casi, anche una qualche forma di goduria, a nuotare tra le proprie ombre.