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giovedì, 19 Dicembre, 2024

Made in Italy: una storia di sogni

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di Martina Biassoni

Ambientata nella Milano degli anni Settanta, “Made in Italy”, raffigura perfettamente i cambiamenti in atto in questo periodo. Questi sono gli anni dell’inarrestabile forza rivoluzionaria dei movimenti punk, intesi non solo come genere musicale, ma anche in quanto voglia di sovvertire i canoni della vita come la si è conosciuta fino a quel momento. Sono gli anni del terrorismo rosso e nero, delle droghe sdoganate come fossero caramelle, della voglia di essere sé stessi senza filtri per trovare il modo di guadagnarsi il proprio posto nel mondo rincorrendo sogni ed ideali. Sono gli anni del cambiamento per un’Italia ancora troppo ancorata a retaggi e tradizioni sessiste e anti-progressiste (due esempi potrebbero essere la paura di vivere pubblicamente la propria sessualità o la voglia di emancipazione delle giovani donne ancora troppo frenate da maschilismo e società patriarcale).

Il cambiamento in atto è perfettamente rappresentato nella serie-evento di casa Mediaset, in una cornice patinata che racconta il bello e il brutto delle redazioni dei giornali di moda, la concorrenza spietata all’interno del mondo delle passerelle, la necessità di correre dei rischi e di essere, in una parola, groundbreaking. Ovvero innovativi in quanto giornalisti, in quanto artisti nascenti, di cui sono rappresentate l’ascesa, la mission e la visione creativa iniziale grazie a cui brand – che tutto il mondo oggi ci invidia – sono nati e si sono guadagnati il posto d’onore nella hall of fame dei grandi brand del prêt-à-porter. Il messaggio di fondo è che quanto si vanno a delineare con un abito e con le proprie scelte stilistiche, non è solamente mera apparenza. È soprattutto voglia di riscatto da una vita che ve stretta, dando vita a pattern decorativi che fanno l’occhiolino all’etnico, a quadri d’avanguardia, a paesaggi lontani e persone insolite. La moda non è solo cultura, ma anche sociologia e arte, è necessità di esprimere sé stessi tramite precise scelte di tessuto e colorazioni senza lasciare nulla al caso. Ma è anche lo specchio di una società, intravede i cambiamenti e per prima li rappresenta. È di questo che “Made in Italy” fa una cronaca dettagliata: dei cambiamenti in atto nella metropoli milanese pronta ad abbandonare il proprio old fashioned lifestyle, a favore della camparinità, dalla fissità di grigi uomini in tailleur impettiti e tradizionalisti, alla morbidezza ritrovata da Albini, Krizia, Missoni, Ferré, Armani (per citarne solo alcuni), una Milano pronta ad iniziare ad accettare che le donne non sono più oggetti di proprietà del padre, prima, e del marito, poi, ma esseri pieni di vita, ambizioni, passioni e voglie.

Un’epoca profondamente distante da quella contemporanea, direbbero alcuni, senza rendersi conto che in fondo, queste due sono epoche strettamente connesse, intrecciate e dipendenti l’una dall’altra. Gli anni Settanta sono stati l’ultimo decennio prima dell’inizio di un cambiamento radicale nella società che dovrebbe fare da motore a ciò che la società odierna necessita, soprattutto in questo periodo in cui per molti è l’incertezza a farla da padrone. Crisi nera, giovani in cerca di un modo nuovo e fresco per dire la propria, donne che non possono permettersi di non far sentire la propria voce altrimenti regredirebbero allo stato di oggetti di proprietà, ancora lotte infinite per poter essere sé stessi e vivere la propria sessualità all’aria aperta, qualsiasi sia il pronome che ci si voglia attribuire. Viviamo ancora ancorati a tradizioni del passato che non cennano a volersene andare, perché fondamentalmente la società non è di molto diversa da quella degli anni settanta: uomini che non vorrebbero lasciare posti di rilievo a donne, artisti e visionari che invece le esaltano e cercano di donare a queste donne, tramite le proprie manifatture e la propria vision, i mezzi ed i “travestimenti” per continuare a perseguire sogni e ideali. “Made in Italy” deve essere da spunto per il cambiamento che dev’essere messo in atto ora, prima che diventi troppo tardi.

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