di Stefano Sannino
Quando pensiamo a Niccolò Machiavelli e alle sue idee politiche, che nei secoli hanno plasmato il nostro modo di rapportarci alla vita pubblica, non siamo certo abituati ad immaginare un uomo che visse gran parte della sua esistenza politica come semplice burocratico di medio livello, che perse il lavoro a causa del cambio di regime nella città di Firenze e che ritrovò, in questo stesso esilio la forza di scrivere il celebre libro “Il Principe”.
Al posto del Machiavelli che siamo abituati a pensare, genio della politica e fondatore della teoria del perfetto principe rinascimentale, esiste quindi un Machiavelli segreto, nascosto tra le righe di quegli stessi trattati che lo hanno reso celebre dopo la sua morte. Certamente, ne “Il Principe”, Machiavelli fonda l’idea stessa di “sovrano perfetto”, costantemente equilibrato tra l’amore ed il timore dei sudditi, maestro di forza capace anche di azioni subdole.
Ma nonostante questa descrizione, perfettamente incarnata – secondo lo stesso autore – da Cesare Borgia, si legge nei libri del Machiavelli uno strano spirito repubblicano, una particolare attenzione a quella “Repubblica Italica” che anticamente era stata auspicata da Tito Livio, di cui Machiavelli era un attento studioso. Gli scritti machiavellici, che trovarono la loro fortuna solamente parecchi decenni dopo la sua morte e che portano addirittura alla formazione di un nuovo termine – “machiavellismo” appunto – si rivelano quindi ad una lettura più attenta, non come un perfetto manuale per il despota, ma come l’augurio che possa esistere una personalità abbastanza forte da riunire l’Italia e riformare una repubblica nazionale unica. In questo senso, il Machiavelli segreto si rivela essere uno dei primi patriottici italiani, ben lontano da quell’immaginario che lo vede dipinto come il subdolo e perfetto politico del Rinascimento.