Partiamo da un concetto: è altamente volatile, tendenzialmente, tutto l’elettorato che non sia fidelizzato attraverso l’intermediazione diretta dell’economia da parte della politica. Da questo punto di vista, la rapidità con la quale si sta liquefacendo il Movimento 5 Stelle è la miglior contro-prova della genuinità dei suoi intenti, indipendentemente da ogni giudizio di merito. La dromologia del suo disfacimento dovrebbe, quindi, far riflettere tutti coloro che si apprestano per il futuro a proporre programmi e contenitori politici atti, in qualche modo, al cambiamento su questo dato di fatto: ai partiti è meglio preferire i comitati elettorali di scopo, se non si vuole rimanere nell’alveo del vecchio modo di concepire l’offerta politica ossia nella pratica del voto di scambio tra un elettore interessato ad un favore o a una prebenda di tipo personale ed
un’organizzazione politica in grado di soddisfarlo da questo mero punto di vista crematistico e di pancia.
Nell’attuale alto grado di astensionismo dal voto non traspare soltanto la giusta indignazione e la conseguente sfiducia nello strumento della partecipazione democratica così come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi, si evidenzia, altresì, come un metronomo, la sempre maggiore difficoltà di un sistema in crisi a soddisfare la pancia di sempre più larghe parti di società civile. L’astensionismo oscilla tra la protesta e l’impossibilità di garantire, da parte dei partiti, l’efficacia del contratto di scambio, materiale e personale, non ideale, tra l’elettore ed il politico di turno, che ha caratterizzato tutta la storia repubblicana finora. Le motivazioni del rifiuto e quelle della convenienza spesso si mischiano nell’elettore medio: provate a chiedere per strada, a passanti a caso, quanti di loro andrebbero a votare chicchessia per 50 o 100 euro, rimarreste senz’altro sorpresi nell’apprendere che, molti di coloro che rispondessero di sì, lo farebbero con l’assoluta ingenuità e franchezza di spirito di chi ritiene una cosa talmente inutile da corrispondere senz’altro ad un basso costo di compravendita.Questa è la percezione e l’idea che 60 anni di politica hanno travasato nella società civile di questo paese, ne va preso atto.
Ma torniamo al M5S. E’ sorprendente che, anche solo ci si chieda da parte di molti loro esponenti, il motivo di un così rapido inabissamento, è tutto nelle parole con le quali, il loro portavoce al Senato, Claudio Messora, lanciò l’assalto al sistema dei partiti: o a casa loro o noi. Loro, seppur traballanti sono ancora lì, e a casa deve andare il M5S. Possiamo discutere di come abbia giocato le sue carte, ma sull’epilogo conseguente al fallimento del tentativo di mandarli tutti a casa, nemmeno una parola si può spendere, dovrebbe essere del tutto ovvio, se per 150 miracolati andati in Parlamento non significasse tornare alle loro normali occupazioni o disoccupazioni in seno
alla società civile. Mica erano stati mandati nei Palazzi per starci fino alle calende greche, chi li ha votati aveva fatto un normalissimo patto: cacciateli via, una volta per tutte, aprite quei palazzi come una scatoletta di tonno e svuotatela. Hanno semplicemente fatto una guerra e l’hanno persa. Alla luce degli errori commessi, sarebbe stato meglio, addirittura, tentare di imporre un’agenda politica a Bersani. Sarebbero dovuti scendere in piazza e dare vita ad un Aventino durante la protesta del 9 dicembre 2013, insomma, avrebbero potuto fare molte altre cose ed, invece, hanno preferito saltare sui banchi della Boldrin e scegliere come climax di questa guerra politica le Europee di maggio scorso, rivolgendosi ad un elettorato che non era contendibile, con gli ammiccamenti a Berlinguer di Piazza San Giovanni, impaurendo tutti i moderati d’Italia e alienandosi, persino, il consenso di quella gran parte di astenuti che di sinistra non vuole nemmeno sentir parlare da lontano.
Potremmo discutere, con il senno di poi, fino all’anno prossimo degli errori del M5S, ma il risultato non cambia: devono andare a casa, volenti o nolenti. A Pane&Gabanelli, è incontrovertibilmente ormai chiaro, non si cambia questo paese!
Cristiano Mario Sabbatini