di Stefano Sannino
Tra i pensieri più rivoluzionari e contemporanei del XX secolo, quello di René Girard, antropologo e filosofo francese di orientamento cattolico, risulta essere senza dubbio quello più attuale.
Dopo secoli di illuminismo, in cui l’uomo è stato guardato come essere fondamentalmente razionale, capace di dare forma al mondo attraverso la scienza e la ragione, René Girard riprende ciò che i grandi maestri del sospetto avevano provato a dichiarare un secolo prima: l’uomo non è un essere razionale.
Per Girard, ogni società umana era infatti fondata sul desiderio che, relazionato ad un numero di risorse materiali limitato, non può condurre altrove che alla violenza; violenza, che lo stesso Girard, definisce “mimetica” ovvero di imitazione. È difatti proprio l’imitazione a costituire il pilastro della teoria girardiana del desiderio, perché tutti vogliamo essere come i modelli a cui ci ispiriamo.
Chi di noi, crescendo, non ha mai avuto una persona famosa o un politico o un pensatore a cui rifarsi nella vita di tutti i giorni? Addirittura, una delle più grandi industrie del mondo, quella della moda, si fonda proprio sul desiderio umano di imitare le persone per cui abbiamo stima o per cui proviamo invidia. L’imitazione è il nostro modo di assomigliare a qualcuno da cui altrimenti saremmo dissimili, la nostra contorta strategia per diventare chi vogliamo, perdendo di vista però la nostra vera identità. In questo clima di mimesi e di imitazioni reciproche, non ci è difficile immaginare perché Girard abbia teorizzato un mondo di violenza: arriva un momento, infatti, in cui necessariamente mi scontrerò con la persona che voglio imitare, per ottenere ciò che questa persona ha e che io desidero con tutto me stesso. Il clima di violenza, che inizialmente è solo individuale, si estende però ben presto a tutta la società, se consideriamo che nessuno è libero da questo meccanismo mimetico.
Tutti abbiamo un modello: anche i nostri modelli a loro volta prenderanno di riferimento qualcuno e con questo lotteranno per ottenere le sue risorse ed i suoi possedimenti.
L’unico modo per uscire da questo meccanismo di violenza dilagante che, qualora non fermato, distruggerebbe la società è proprio il capro espiatorio. A tavolino, vengono scelti dei colpevoli tra le minoranze della società, tra coloro cioè che più facilmente possono essere uccisi o cacciati senza che vi siano ripercussioni familiari o sociali. Scelti i capri espiatori, questi vengono “lapidati” -in gergo Girardiano- e quindi la società ristabilisce quello status quo di pace e parità di condizioni precedente allo scoppio della violenza.
Girard è stato un autore del XX secolo, morto a 93 anni solamente nel 2015, ma le sue teorie riescono ancora oggi a mettere in evidenza dei movimenti sociali che altrimenti non riusciremmo nemmeno a vedere.
Questa violenza e questo odio che, sempre di più, dilagano nella nostra società sono probabilmente il punto di arrivo di cui ci parlava Girard; oggi, con l’aumento esponenziale della violenza e del processo di imitazione dell’altro, ci troviamo probabilmente al culmine di quella guerra di tutti contro tutti che sfocerà, a breve, nella scelta di un colpevole.
Oggi più che mai è bene quindi ricordarsi le parole di Girard e la sua filosofia per cercare, almeno questa volta, di rompere quella catena mimetica che non poterà altrove se non ad nuovo ciclo di odio ingiustificato, violenza e disprezzo per i propri simili.