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sabato, 16 Novembre, 2024

L'ULTIMA CHANCE

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L’Italia è oramai un paese irriformabile.

Se non ci facciamo una ragione di questo dato di fatto, qualsiasi tentativo di rimodernare come necessità questo paese è destinato a priori ad un fallimento totale. Non è solo tutta la classe politica che ci ha governato ad aver fallito, ma anche gli italiani che ce l’hanno messa. Questo popolo e la classe dirigente che fin qui ha prodotto non sono mai usciti dal clima da Piano Marshall inaugurato da De Gasperi nel dopoguerra di ritorno dagli USA con il famoso assegno in mano per la ricostruzione.

Il popolo italiano non si è più destato da questa forma mentis assistenziale, per la quale, a fronte di una sovranità ceduta si debba pretendere l’aiuto economico e la possibilità di spesa a debito. Ancora oggi ne vediamo il segno inequivocabile con la pietosa pantomima dei governi Letta e Renzi in Europa alla ricerca di poter sforare anche di un poco dai vincoli europei di spesa.

Il paese non ha bisogno di temporeggiare ancora un pò con la spesa a debito, ma abbisogna di uno shock di riforme strutturali non più rimandabili e la società civile non è ancora abbastanza convinta nel suo complesso che un mondo è finito e continua a rendere possibile la passerella di questi inetti personaggi che si stanno alternando al governo, sperando che, in qualche modo, come per incanto, tutto possa continuare come prima.

Niente sarà come prima dopo questa crisi che stiamo vivendo! Gli unici a rendersi conto sul serio di cosa sta succedendo sulla loro pelle sono quegli strati di popolazione, ormai decine di milioni a differenza del passato, che da questo sistema sono oggettivamente fuori e senza garanzie per il futuro. I giovani, le donne, gli imprenditori che a fine mese se non fanno quadrare i conti ci rimettono del loro e vanno senza appelli in rosso e gli over 50 che, come perdono il lavoro senza poter usufruire di sussidio alcuno, vagano disperati alla ricerca di una riqualificazione lavorativa che il più delle volte resterà solo un miraggio come la pensione ancora troppo lontana. Il potenziale di cambiamento insito in queste categorie di non garantiti è imponente e farà sentire il suo peso indipendentemente dalle forme politiche di rappresentanza che saprà darsi.

 I giovani individualmente staccheranno la spina, incroceranno le braccia di fronte a qualsiasi tentativo di fargli pagare un conto che non gli appartiene, non si porteranno sul collo i disastri culturali ed economici delle generazioni che li hanno preceduti. L’idiosincrasia nei riguardi delle forme della politica attuale è solo l’effetto di una convinzione oramai del tutto radicata in loro sulla irriformabilità di un sistema che non vogliono ereditare. Diranno semplicemente:“NO, GRAZIE! Andate a quel paese voi ed il vostro stato assistenziale, pensiamo da soli, senza più Piani Marshall, al nostro futuro, non ci date e non ci chiedete nulla.“

Stessa cosa più o meno faranno le giovani donne e gli over 50 senza lavoro: si rivolgeranno alle forme di lavoro sommerso, quelle che in America, per distinguerle dall’economia criminale, vengono chiamate opportunità di lavoro defiscalizzate e non sotto il controllo governativo. L’azione individuale delle persone alle prese con i loro bisogni quotidiani ha una creatività che non può essere mai soffocata del tutto, è capace infine di costruire il preludio ad un mondo nuovo anche dentro i ruderi e le fatiscenze del vecchio.

Non c’è privilegio acquisito che sarà in grado di fermare questo processo di cambiamento già in atto, non ci sarà costrizione o politica governativa che lo potrà arrestare: non si può fermare l’acqua con le mani.

Chi non vede sbocchi politici nella situazione attuale, non vede e non comprende la forza dirompente di questo processo di cambiamento che non ha necessariamente bisogno di un contenitore politico, ma si basa sul semplice espletamento delle libertà individuali di ognuno, più importanti di tante chiacchiere, più importanti di qualsiasi programma di cambiamento steso a tavolino, fatto tanto per mettere qualche pezza ad una situazione sempre più insostenibile e che solo chi è lontano anni luce ed alieno alle vicende della società reale può continuare a trattare allo stesso modo di sempre: calciando più in la un barattolo che, nel frattempo, è diventato un masso enorme che, prima o poi, fratturerà i piedi di tutti coloro che proveranno ancora a prenderlo a calci.

Come può una forza politica, veramente vocata al cambiamento, aiutare questa moltitudine di persone a mettere in atto, prima e con meno sforzo, il potenziale di cambiamento insito nella situazione, pur difficile e drammatica, che stanno vivendo? Questa è l’unica domanda alla quale dovrebbe rispondere una tale forza politica, se esiste, in ognuna delle sue possibili iniziative. Mettersi al servizio delle sole persone che hanno interesse al cambiamento, che ce l’hanno nel DNA della loro condizione di vita, che non possono fare altrimenti che cambiare per dare un senso al loro futuro!

Mettersi al servizio di questa categoria di persone significa a sua volta essenzialmente 3 cose:

1) Non interferire negativamente con tutte le iniziative di demolizione partecipata e pacifica del vecchio sistema;
2) Preparare e favorire tutte le strutture organizzative e di programma in grado di mettere la parte di società civile di cui abbiamo parlato sopra nella condizione di essere maggioritaria e alla guida di un paese che, senza il suo apporto, non può essere riformato;
3) Evitare ogni pantano che colleghi i primi 2 punti con indifendibili commistioni con il vecchio modo di fare politica ed i suoi rappresentanti.

A queste condizioni, quello che oggi potrebbe essere considerato un Piano B rispetto al crollo di un sistema-paese che non è in grado di riformare se stesso, potrebbe divenire ben presto un Piano A per assicuragli un futuro che attualmente non sembra neanche immaginabile. Per ogni parte di sistema da demolire, ve ne è una da immaginare ex-novo e probabilmente il periodo che stiamo attraversando è l’ultima chance democratica per farlo. Il passaggio tra la parte destruens e quella construens di questo processo sarà misurabile attraverso un tassicidio da compiere!

I problemi strutturali che assillano l’Italia immersa nel 21 secolo non sono, di natura internazionale, ma del tutto autoctoni in primis. C’è un’Italia che è rimasta alla fine della seconda guerra mondiale ed una che non può fare altro che andare oltre perchè paga tutto il peso economico dell’esistenza della prima, sotto forma di carico fiscale.

Anche alla comunità internazionale potrebbe non dispiacere che l’Italia che ora soffre possa soppiantare e sostituire al governo del paese quella che l’ha ridotta in questo stato, la quale, non vede neanche di un millimetro aldilà dei propri privilegi acquisiti e soffoca la sua rinascita. Eviteremmo un bel problema anche ai commissari della Troika che sono già pronti a dover giocoforza intervenire di fronte alle incapacità di una classe dirigente e di una parte del paese che non sembra possedere ancora la necessaria energia di reagire.

Se ci pensate bene, non è in gioco un cambiamento che comunque ci sarà nelle abitudini delle persone e del loro modo di vita e che può ben dirsi già in atto come una ribellione fredda, in gioco c’è (e non è certo poca la posta così in palio) la sua modalità, più o meno democratica, più o meno indolore, non solo per chi ora soffre, ma anche per coloro che oggi sono completamente in balia della più pura passività ad un governo delle cose che non ha più alcuna ragione di esistere così come è e che non ha, e allo stesso tempo non concede a nessuno che non ne faccia parte, uno straccio di futuro.

 Tra il dire e la possibilità di fare c’è solo la REALE VOGLIA DI CAMBIARE di chi non può fare altro per potere aspirare ad una vita migliore di quella che gli viene prospettata, attualmente, in questo paese, fallito e, da come sembra, irriformabile.

Quando una falla continua a far imbarcare acqua nonostante le toppe applicate, oltre che recarsi di corsa alle scialuppe, sarebbe il caso di far sgombrare il ponte dai concertini che suonano come se nulla fosse e provare a vedere se si può compiere l’ultimo tentativo, tutti insieme, per provare ad impedire al transatlantico di inabissarsi definitivamente o almeno dopo che tutti i passeggeri siano tratti, in qualche modo, in salvo, non solo quelli di prima classe. In seconda ed in terza già sono troppi quelli che non sperando più in nulla, invece di ascoltare il concertino sul ponte, si sono tolti la vita.

Persa anche questa ultima occasione, non potrà ritenersi in salvo neanche chi ha trovato posto su una scialuppa, a meno che non sia già a distanza di sicurezza dalla nave che affonda e dai naufraghi in mare!

Cristiano Mario Sabbatini

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