di Stefano Sannino
Dall’alba dei tempi, la conoscenza è tutto. E la conoscenza, dal canto suo, può essere ottenuta autonomamente oppure tramite l’informazione. Chi fa informazione, ha dunque l’onere di trasmettere sapere e nel farlo, deve assicurarsi di mantenere la più lucida professionalità e neutralità, cosa che, purtroppo, oggi non avviene sempre.
Vi è una frase, celeberrima, attribuita alla sibilla cumana che, in latino recita: «Ibis redibis, non morireris in bello» che, per chi tra i lettori non sa il latino significa:«Andrai ritornerai non morirai in guerra». Vista così, sembra una predizione favorevole. Eppure, basterebbe postporre la virgola di una posizione nella frase latina o fare una pausa nella pronuncia al momento sbagliato (trasformandola quindi in “Ibis redibis non, morieris in bello”) per rovesciare completamente il significato in «Andrai non ritornerai, morirai in guerra».
Questo piccolo gioco di parole, che pare fosse alla base di quasi tutti i responsi profetici delle sibille antiche, ci può però aiutare a comprendere come l’approccio di chi fa informazione influisca sull’informazione stessa. Dopotutto giornalisti, conferenzieri, autori, professori e chiunque abbia la funzione di veicolare il sapere sono anch’essi esseri umani. Non possiamo quindi pretendere da loro che abbiano un approccio completamente neutrale all’informazione che trasmettono.
Ciononostante, la predisposizione che l’informatore ha nel trasmettere il sapere risulta fondamentale. Da essa dipende non solo ciò che l’auditore percepisce, ma anche il suo comportamento in merito a quel determinato evento. Fu il famoso Popper, epistemologo e filosofo della scienza del XX secolo, ad introdurre l’idea che la metafisica (e dunque anche la credenza nel potere della sibilla) possa avere una funzione motivazionale. Mettiamoci, per esempio, nei panni di un soldato che si reca dalla sibilla per conoscere il suo futuro in guerra. La sibilla sbaglia, per qualsiasi motivo, a pronunciare il responso scritto poc’anzi. Il soldato, convinto che morirà, combatterà -presumibilmente- con meno vigore e convinzione di quanto non avrebbe fatto se la frase della sibilla fosse stata pronunciata diversamente. Questo esempio, che appartiene ovviamente al campo della metafisica e non dell’informazione giornalistica moderna, dovrebbe però aiutarci a comprendere come l’attitudine dell’informatore possa influire perfino sui comportamenti di chi ascolta l’informazione. In breve, se sono convinto che morirò in guerra, con ogni probabilità mi rassegnerò e non combatterò con sufficiente vigore per sopravvivere.
È vero dunque che, come recita un vecchio detto, “sapere è potere”, ma è anche vero che -oggi più che mai- il vero potere lo hanno coloro che fanno informazione: ribadire sempre concetti negativi influenzerà negativamente gli auditori mentre, al contrario, ribadire concetti positivi influenzerà positivamente il pubblico.
È impossibile rompere questo meccanismo; quello che si può fare però è esserne coscienti e fare di tutto per filtrare ciò che è evidente frutto della soggettività dell’informatore e ciò che invece appartiene all’oggettività del fatto avvenuto.