Molto spesso in questo paese si fa una gran confusione sul termine destra. Storicamente questo termine rappresenta i liberali e i conservatori che per tradizione siedono nella parte destra delle aule parlamentari. Solo dal dopoguerra il termine destra è stato monopolizzato dal MSI i cui rappresentanti erano finiti nella parte destra degli emicicli parlamentari di camera e senato pur avendo radici politico-culturali che si rifacevano alle idee social-corporative del fascismo ben diverse e antitetiche rispetto all’individualismo borghese, capitalista e libertario della tradizione liberal-conservatrice.
La OLD RIGHT, ovverosia la destra americana, criticava aspramente l’interventismo keynesiano in economia da parte di Roosevelt il quale prestava attenzione alle teorie social-corporative del fascismo e a sua volta da quest’ultimo riceveva ammirazione; tutto ciò ovviamente prima che i rapporti tra gli USA e l’Italia fascista degenerassero a seguito della scelta di campo pro Hitler di Mussolini.
Winston Churchill, campione della lotta al nazismo, dichiarava di sentirsi fiero di essere di destra ovverosia un tipico conservatore anglosassone mentre il partito nazista era denominato per esteso partito nazional socialista tedesco dei lavoratori tanto da essere etichettato da Von Hayek come una sorta di altra faccia, o naturale evoluzione, del comunismo trovando ciò conferma nel rispetto che intercorreva, prima dell’operazione Barbarossa, tra regime nazista e regime sovietico, l’uno esponente della versione nazionalista del socialismo e l’altro di quella internazionalista tanto da far diventare Goebbels un fortissimo ammiratore di Stalin.
L’ala destra del GOP, l’attuale destra americana, è vicina alle posizioni liberiste del Tea Party e ha come riferimento storico Ronald Reagan ovverosia il politico che insieme a Margaret Thatcher ha rappresentato l’antitesi liberista non solo al comunismo ma anche al social-corporativismo di quella che in Italia e nell’ Europa continentale viene a volte impropriamente definita come destra. Se un americano di destra sentisse parlare molti esponenti della destra italiana chiederebbe immediatamente per quale ragione in Italia i socialisti si chiamano destra.
Fatto questo breve e chiarificatore excursus storico e venendo all’oggi ciò di cui a mio avviso si sente la mancanza è la presenza nel nostro paese di una destra liberal-conservatrice di stampo anglosassone. Tale destra non dovrebbe certamente ridursi al microcosmo, largamente elitario e per molti aspetti snob ed inconcludente, di alcuni ‘salotti’ liberali presenti nel nostro paese ma essere inclusiva di varie culture unite da un preciso minimo comune denominatore; il riconoscimento della supremazia della libertà e dell’individuo sullo stato.
Il partito repubblicano americano è molto vario al suo interno comprendendo diversi filoni politici che vanno dalla destra religiosa, ai liberali passando per la destra patriottica che si identifica nella figura eroica dell’americano interpretato da Jhon Wayne e congloba varie sfumature programmatiche che vanno da chi è più disponibile ad accettare uno stato che faccia uso della spesa pubblica per stimolare l’economia, pensiamo al rapporto tra commesse militari, industria della difesa e sviluppo tecnologico, ai duri e puri dei Tea Party che vorrebbero ridurre la stato, soprattutto lo stato federale, ai minimi termini ma tutti sono legati da un minimo comun denominatore rappresentato dell’idea della supremazia della libertà e dell’individuo sullo stato che non ha alcun compito etico ma è solo il delegato dell’individuo alla difesa dei diritti naturali della persona condensati nel diritto alla vita, alla libertà ed alla proprietà.
Una simile destra in Italia non si è mai vista in quanto non si è mai andati oltre agli sterili appelli alla rivoluzione liberale o all’uniamo i moderati mentre al governo il centrodestra ha contribuito ad aumentare il peso oppressivo dello stato misurabile dal livello asfissiante di pressione fiscale in larga misura necessaria per finanziare le politiche di ‘panem et circenses’ garantite dal ceto politico alle varie clientele.
In compenso però sentiamo continuamente ripetere che in Italia le politiche liberiste hanno fallito. Mi chiedo cosa ci sia di liberista in Italia se è vero come è vero che ci ritroviamo sotto la cappa di una burocrazia oppressiva, con uno stato che spende ogni anno 800 miliardi di euro e un debito pubblico pari ad oltre il 133% del Pil ed in continua ascesa. Mi vien sempre da dire che il liberismo in Italia è come la moglie del Tenente Colombo: tutti ne parlano ma nessuno l’ha mai vista.
Un dato va però tenuto presente; se non cresciamo il paese, in evidente crisi strutturale, non riuscirà a sopportare il peso del debito pubblico e a tenere socialmente. L’unica ricetta per la crescita è eliminare la spesa pubblica parassitaria per diminuire il carico fiscale su famiglie e imprese allo scopo di rilanciare competitività e consumi, privatizzare tutto il privatizzabile per abbattere il debito pubblico e ridurre al minimo il peso della politica nella nostra società, liberalizzare, sburocratizzare. In poche parole per evitare il default servono politiche di destra; di destra vera. Peccato che il centrodestra non l’abbia ancora capito o non ci creda fino in fondo. Agli intellettuali che si pongono il problema di costruire una destra in Italia consiglio di leggere gli scritti degli esponenti della scuola austriaca di economia a partire da Von Mises e Von Hayek e, per le riforme istituzionali, di Gianfranco Miglio, grande teorico e cultore dei sistemi federali, lasciando perdere certe boiate stataliste e peroniste di alcuni pseudo-economisti da bar sport diventati famosi non per i titoli accademici ma per le comparsate televisive da teatrino italiano.
Ugo Calò