di Martina Biassoni
In uscita il 15 ottobre la prossima commedia di Enrico Vanzina, Lockdown all’italiana, ed è già un polverone mediatico.
Qualcuno già mesi fa aveva preannunciato fra il sarcastico e l’umoristico tristemente verosimile di chi “sa come sono gli italiani”, che prima o poi sarebbe stato tratto un film dalla situazione di pandemia che ci ha gravemente colpito. Ma forse il diretto interessato si sarebbe aspettato un docu-film storico, o un documentario sulla situazione di difficoltà che da ormai sette mesi ci ha abituati a vivere in un mondo diverso, diametralmente opposto a quello in cui vivevamo fino al 7 marzo 2020.
Come previsto infatti, la notizia della commedia di Vanzina ha creato sgomento, indignazione e sdegno fra il popolo del web, il quale si dice indignato di un così veloce cambio di rotta: dal compiangere i defunti che a frotte venivano allontanati dalla città di Bergamo su camion militari perché mancavano i posti al cimitero, al ridere di gusto della mancanza del lievito e di farina, della donna “bacchettona” che si inalbera col marito dall’occhio lungo, all’influencer che si riadatta cuoca (o almeno questo traspare dall’immagine stampata sulla locandina).
E non solo. In molti si sono accorti dell’oggettificazione della donna – immagine che purtroppo è ancora molto diffusa, soprattutto nelle commedie o i cinepanettoni italiani – accanto ad un uomo occupato con conference call vestito “a metà”, che nel frattempo osserva la bionda di turno che si allena sul balcone mentre il suo fidanzato, dall’aria leggermente nerd e poco sveglia, annaffia le piante. Per riassumere tutto ciò che si può osservare bastano cinque o sei stereotipi, conditi da ciò che effettivamente sarà oggetto della trama del film.
Insomma, i presupposti non sono dei migliori, e se per un mese nessuno dei sospetti verrà confermato, oppure reso solo un dubbio figlio di una mente malpensante, rimane – oggettivamente – una cosa di cattivo gusto: la mercificazione del dolore. Ormai è sdoganata, sia sul web che in televisione, eppure rimane sempre un atto di dichiarata indifferenza e apatia nei confronti del prossimo, tuo simile, che soffre, il simbolo puro e semplice della smania di fama e di far parlare di sé, di seguire l’onda “no matter what”: non importa quanto una famiglia possa aver sofferto la perdita di un caro senza potergli porgere l’ultimo saluto, non importa se più di mille persone al giorno (in Italia) ancora soffrono a causa di una malattia che non solo toglie la voglia di ridere, ma anche la facoltà di respirare autonomamente.
Le aspettative non sono elevate, la voglia di ridere nemmeno, ma rimanderemo al 15 ottobre qualsiasi altra rimostranza o cambio d’opinione.