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venerdì, 22 Novembre, 2024

Lo zucchero e la filiera che sostenta una popolazione: ci vuole un commercio etico

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di Stefano Sannino

Lo zucchero? Sicuramente un alimento protagonista della tavola da sempre: ingrediente base per i dolci, nelle salse come il ketchup, nei sughi già pronti, nei cibi da prima colazione come yogurt, succhi di frutta o nei cereali. Insomma lo zucchero è ovunque e non accompagna solo caffè e the. Le prime testimonianze sembrano risalire addirittura al V millennio a.C. quando in Polinesia si produceva un succo ad alta concentrazione zuccherina bollendo le canne da zucchero. Ma siamo sicuri di conoscere la storia di uno degli alimenti più amati di sempre e che riesce a combattere la concorrenza dei dolcificanti artificiali?

Questa pianta venne addomesticata per la prima volta in Nuova Guinea, raffinata in India e portata dal Nuovo Mondo nientemeno che da Cristoforo Colombo, sebbene inizialmente fu parecchio difficile indurre gli europei ad apprezzarne le proprietà. Eppure, con l’adozione dello zucchero nelle cucine delle famiglie più in vista del vecchio continente, anche i ceti più poveri della popolazione cominciarono a desiderare questo prodotto, facendone aumentare la domanda a livelli vertiginosi. E mentre in Europa esplodeva una grande richiesta di questo composto organico, nella piccola Portorico, e in altre località caraibiche, venivano fatti massicci investimenti per ampliare le colture di questa pianta.

Eppure, in tutto il processo di lavorazione della canna da zucchero, vi è un fattore misterioso e a tratti inquietante che divide nettamente il mondo occidentale da quello caraibico: la raffinazione. Se la canna da zucchero viene infatti coltivata lì dove è stata trovata, con l’ausilio di una popolazione locale sottopagata e a tratti schiavizzata che non riesce a comprendere il perché di una richiesta tanto massiccia dello zucchero, il processo di raffinazione avviene da tutt’altra parte, in occidente, ovvero nelle grandi città americane ed europee dove poi il prodotto viene anche consumato.

Questa divisione geografica tanto netta della produzione rende inconcepibile ad un portoricano una produzione così massiccia di canna da zucchero, estraniandolo ancora di più da quelle che sono le esigenze del vecchio mondo. Eppure, vi è una cosa di cui i portoricani, anche i più poveri, sono consapevoli: che esista un mercato dello zucchero, capace di cambiare per sempre le loro vite. Lo zucchero quindi, forse più di altri prodotti alimentari, dipendendo strettamente dalle abitudini alimentari di europei ed americani è in grado di rovesciare il destino di un’intera isola, della sua economia e dei suoi abitanti.

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