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mercoledì, 20 Novembre, 2024

Lo scandalo della guerra in Israele

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In seguito all’attacco da parte del gruppo terroristico di Hamas, lo stato di Israele ha votato l’entrata nello stato di guerra, minando quella fragile parvenza di stabilità che negli anni passati ha caratterizzato la regione.

In seguito alla decisione, testate giornalistiche di tutto il mondo hanno speso fiumi e fiumi di parole su una guerra che già, a cuor leggero, viene definita “di religione”.

In verità, quasi eccezionalmente, il conflitto israelo-palestinese è forse uno dei pochi conflitti combattuti tra due monoteismi che di religioso ha ben poco. Non c’entra infatti che uno Stato ebraico combatta contro un gruppo terroristico islamico, quanto piuttosto è evidente che le ragioni di suddetto conflitto siano politiche e sociali, frutto di una ferita insanabile databile con la fondazione stessa dello stato di Israele nel 1948.

Proprio per questo motivo, parlare del conflitto in questione nei termini di conflitto di matrice religiosa nato dall’intolleranza intrinseca delle religioni monoteiste, sulla scia di quanto proposto da Jan Assmann[1], è fondamentalmente sbagliato.

In primis, è innegabile che la guerra combattuta non sia motivata da una incompatibilità dottrinale tra due culti, quanto piuttosto da una disputa territoriale dovuta alla creazione ex novo di uno Stato in una regione del mondo già ipso facto conflittuale.

In secundis poi, non possiamo riferirci a questa guerra come ad un’azione bellica legata ad una supposta intolleranza da parte musulmana o ebraica, sebbene sia accademicamente appurata la suddetta tendenza in tutti i culti di matrice monoteista[2].

In poche parole, i numerosi articoli disponibili in rete che guardano a questo conflitto come ad uno scontro religioso risultano essere quantomeno tendenziosi, dal momento che evidenziano una conflittualità quasi del tutto assente in questo caso specifico. Al contrario, invece, bisognerebbe evidenziare come non sia l’approccio monoteista, e dunque fondamentalmente esclusivo, il problema in questione, quanto invece una contesa territoriale influenzata dalle politiche internazionali venutesi a formare dopo il secondo conflitto mondiale.

Lo sguardo religioso, dunque, molto utile nell’analisi di diversi conflitti tra fazioni, Stati o organizzazioni nel corso della storia è, paradossalmente, del tutto inutile nella comprensione delle ragioni che hanno portato oggi lo stato di Israele ad entrare in guerra. L’uomo occidentale, dal canto suo, dimostratosi immediatamente pronto a prendere le difese del popolo ebraico, dovrebbe al contrario chiedersi quanto non siano le decisioni prese a tavolino dalle superpotenze straniere ad avere portato, oggi, ad una guerra che ha, come suoi unici protagonisti, le migliaia di innocenti i cui cadaveri sono abbandonati per le strade di Israele e della Palestina.


[1] Autore citato, Il disagio dei monoteismi: sentieri teorici e autobiografici, Morcelliana, Brescia 2016

[2] J. Assmann, Monoteismo e distinzione mosaica, Morcelliana, Brescia 2015

di Stefano Sannino

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