Mesi fa, in questo articolo, abbiamo affrontato il tema delle partecipate, che secondo noi vanno cedute. Una conferma, prendendo atto dell’incapacità delle nostre Amministrazioni, che questa sia l’unica salutare strada per la nostra economia, viene indirettamente dalla Corte dei Conti, la quale ha denunciato le storture di questo sistema in un suo rapporto.
Su 7.500 società rilevate, partecipate dagli Enti Locali, solo ca. un terzo opera nei servizi pubblici locali, mentre il restante sono afferenti ad attività “strumentali”. Prendendo le definizioni dal rapporto, si intendono rispettivamente i servizi pubblici locali e le attività strumentali in questa maniera: “L’art. 112, d.lgs. n. 267/2000 definisce “servizi pubblici locali” (SPL) quelli che hanno “per oggetto produzione di beni e attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali”.
Più complessa è la individuazione delle attività diverse dai SPL.
La qualificazione di una società come “strumentale” si ricollega alla tipologia di attività, che è “rivolta agli stessi enti promotori o comunque azionisti della società per svolgere le funzioni di supporto di tali amministrazioni pubbliche, secondo l’ordinamento amministrativo”, in relazione a funzioni pubbliche di cui restano titolari gli enti serviti.
Le attività strumentali sono spesso regolate da norme di diritto privato e, talora, si traducono in attività economiche potenzialmente contendibili sul mercato.”
Osserviamo dunque che, per il principio di sussidiarietà, esiste una categoria di società pubbliche che in realtà potrebbero essere benissimo private, posto che si “traducono in attività economiche potenzialmente contendibili sul mercato.” Quindi, già queste potrebbero essere cedute senza grossi problemi, a quanto pare.
Tra l’altro, ricordiamo la galassia di partecipate del Comune di Roma, che, pur essendo in grave crisi finanziaria, si permette, tra dipendenti pubblici e partecipate, di mantenere ben 62.000 persone. In pratica, se non andiamo errati, solo due aziende in Italia hanno più dipendenti. Questo dovrebbe far pensare. Naturalmente, siccome al solito paga Pantalone, il Governo Renzi, in conflitto di interessi, (ma ricordiamo anche un Governo Berlusconi anni fa per Catania, con il Sindaco medico personale del Cavaliere, se non andiamo errati), non farà, crediamo,
ciò che si dovrebbe fare, ossia intervenire con il machete per ridurre la pressione sulle casse del Comune di Roma; come se ciò non bastasse, pare che di diverse tra quelle aziende, non si sappia neppure che cosa facciano.
C’è poi la questione “in house” che, sempre in base al rapporto, viene definito come: “L’affidamento diretto (o senza gara), in deroga alle regole della concorrenza, è consentito a determinate condizioni, in presenza delle quali si configura il modello dell’in house providing:
a) Società a capitale interamente pubblico.
b) esercizio di attività prevalente per l’ente pubblico;
c) controllo analogo da parte del socio pubblico.
Il controllo societario totalitario può considerarsi il presupposto degli affidamenti senza gara, che sono consentiti solo se è dimostrato che l’ente affidante è in grado di determinare le scelte del soggetto affidatario. Di qui gli ulteriori requisiti del “controllo analogo” e della “prevalenza” dell’attività a favore dell’ente pubblico”.
Orbene, 1.521 società operano per lo più in regime di affidamento “in house”, alla faccia della trasparenza e della concorrenza. E’ chiaro che il ricorrere a questa formula, pone delle perplessità ed espone a dei rischi in termini di costi al punto che spesso non risulta la spesa sostenuta per il servizio da parte dell’Ente locale affidante.
Come se non bastasse, questa imponente macchina pubblica, accusa degli scompensi che ricordano tanto la vecchia I.R.I.. Infatti dal rapporto risultano debiti per il sistema delle partecipate pubbliche in una misura ben maggiore del famoso fiscal compact, del quale magari parleremo nei prossimi giorni: ben 65,1 miliardi di euro a fronte di crediti per soli 21,3 miliardi con il risultato di superare spesso il patrimonio netto che ammonta a 45. Le Regioni relativamente più virtuose sono Veneto ed Emilia-Romagna, mentre le peggio messe sono Basilicata, Sardegna e Umbria.
Che dire? Se consideriamo che spesso tutto ciò serve a fini diversi da quelli dichiarati, ossia per gestire il potere sul territorio, controllando quindi i voti, oppure per piazzare amici ed amici degli amici, ci sembra che siano “giocattoli” troppo costosi con cui le Amministrazioni Locali si trastullano. Sarebbe meglio, il più delle volte se non tutte, chiudere la partita e vendere.
La Critica