Standard&Poors, agenzia di rating, nei giorni scorsi ha pubblicato, quella che potremmo chiamare in maniera informale, la pagellina sul debito pubblico italiano, mantenendo stabile il giudizio con prospettive stabili. C’è chi sperava in una bocciatura dell’agenzia in modo che un giudizio negativo causasse l’impennata dello spread e si ripetesse lo scenario del 2011 con la caduta del governo Berlusconi. La situazione odierna fortunatamente è completamente diversa, e sia i partner europei che nel 2011 auspicarono la caduta di Berlusconi, sia l’alleato americano non possono permettersi un’Italia indebolita in questo momento. In più, al Quirinale non abbiamo Napolitano che fece di tutto per ostacolare l’azione dell’ultimo governo Berlusconi. Sarà una considerazione poco pragmatica, ma il comportamento di chi pur di raggiungere o mantenere il potere preferisce affossare l’intera nazione è quantomeno criticabile.
D’altro canto non sarebbe facilmente comprensibile una “pagellina” negativa sull’Italia in questo momento, quando i giudizi delle agenzie di rating non hanno subito grosse variazioni durante i governi Conte quando il debito pubblico schizzava alle stelle e il PIL crollava o quando il governo Draghi con l’inizio della guerra russo-ucraina si è ritrovato con il prezzo del gas schizzato alle stelle e l’inflazione esplosa. La manovra del governo è impostata alla prudenza e il lieve incremento del deficit per lasciare più soldi in tasca ai cittadini dovrebbe favorire la spesa privata e come tale avere un qualche impatto positivo sul PIL.
Ai ministeri è stato chiesto una riduzione delle spese che è sempre benvenuta. Uno dei ministeri che si è incaricato di procedere ad un taglio, è stato quello della cultura con la proposta di ridurre i fondi destinati al cinema italiano. Naturalmente questa proposta ha suscitato le proteste di tanti che campano su quei soldi e di un certo mondo che chiamiamo genericamente della cultura. Come ha fatto giustamente notare il ministro Sangiuliano, con quei soldi vengono finanziati film che non vendono biglietti e pertanto non si comprende l’utilità di tale spesa specialmente in un periodo di vacche magre. Non solo. Aggiungerei anche una considerazione potremmo dire generazionale: i ragazzi italiani vedono i film italiani? I giovani italiani conoscono e apprezzano i film americani e vanno al cinema a vederli, ma i film italiani neanche sanno che esistono, eccetto forse per i film di Bud Spencer e Terence Hill. Quando dei registi italiani riusciranno a portare dei ragazzi al cinema? Non credo che i finanziamenti al cinema potranno mai essere utile per questo, ma sono piuttosto una specie di metadone che serve a prolungare l’agonia del cinema italiano senza risolvere la situazione.
Una nota riguarda la sanità con un po’ di numeri a caso che vengono dati dall’opposizione. Il bilancio per la sanità è stato incrementato di 3 miliardi che possono essere pochi o molti a secondo dei punti di vista, ma sono comunque un incremento in termini assoluti. Qualcuno dell’opposizione per sminuire l’incremento ha dichiarato che in termini percentuali rispetto al PIL la spesa è diminuita. Con i numeri si può giocare, ma è piuttosto ovvio che con il Covid e le chiusure, il PIL è crollato e conseguentemente la spesa sanitaria in termini percentuale rispetto al PIL è aumentata. A parità di spesa all’aumento del PIL diminuisce la percentuale di spesa. Facendo un semplice esempio. Un lavoratore che spende 500 euro per la spesa alimentare e ne guadagna 1.500 si traduce in termini percentuali con la spesa alimentare che pesa per un terzo sullo stipendio (500/1500). Se lo stesso lavoratore cambia lavoro e ne guadagna 2.000 mantenendo la spesa alimentare a 500, significherà che la spesa alimentare peserà per un quarto (500/2000). Il fatto che la spesa sanitaria in termini percentuali diminuisca non vuole dire assolutamente nulla. Tra l’altro il bilancio dello Stato è piuttosto rigido. Lo Stato per sua natura non licenzia e il numero dei dipendenti rimane costante anche in tempi di crisi e dunque tale voce di bilancio non può diminuire. Di conseguenza anche le spese per gli uffici e gli acquisti. Pertanto le discussioni su percentuali di spesa in rapporto al PIL andrebbero contestualizzate.
È da apprezzare la prudenza della manovra e il miglioramento nella direzione della diminuzione del carico fiscale, ma non si capisce l’accanimento sui proprietari di casa con l’aumento dell’aliquota sugli affitti brevi. Un piccolo proprietario con gli affitti ci copre le spese e le tasse e in tasca gli rimane ben poco e spesso si ritrova un immobile in proprietà perché ereditato stante la diminuzione della popolazione e impossibilitato a vendere per assenza di compratori.
di Vito Foschi