Di Stefano Sannino
Dal periodo medievale l’Europa ha sempre conosciuto una suddivisione del sapere, complice la riscoperta dell’antichità classica, utile all’insegnamento nelle Università e nelle scuole. Le cosiddette arti liberali, suddivise in Trivio (grammatica, retorica, dialettica) e Quadrivio (aritmetica, geometria, musica, astronomia) sono state per lungo tempo, nell’Europa cristiana, il principale corpus di trasmissione del sapere. Esattamente come per la teologia e l’ortodossia anche nel caso della trasmissione del sapere il mondo arabo ha avuto, nel medioevo, un ruolo fondamentale dal punto di vista della gnoseologia.
De facto, la contrapposizione europea tra monasteri come luoghi della cultura e città come luoghi della società sarebbe completamente inconcepibile nel mondo arabo, le cui fonti sottolineano, senza una certa modestia, un accesso allargato al sapere da parte delle masse (1).
Il sapere, visto come una virtù religiosa, era dunque legato non solo alla città come luogo sociale, ma anche e sopratutto all’insegnamento come dovere da parte del maestro. Il maestro, nello specifico, «valorizza il testo con la sua docenza e con la sua presenza: una presenza fisica, corporea, da cui emana una prosperità affine alla santità» (2) e la cui funzione è attestata, in chiusura di molti testi trascritti dagli studenti sotto dettatura dei loro maestri, dalla dicitura qara’a ‘alā (“letto al cospetto di”) la cui funzione è molto più profonda dell’indicare la semplice presenza di un saggio, dal momento che simboleggia una vera e propria trasmissione del sapere, letta da un punto di vista quasi metafisico.
Una prima e propria classificazione del sapere si ha, nell’universo arabo, sul finire del X secolo, quando un funzionario della cancelleria del principato persiano di Bukhara pubblicò un testo intitolato Mafātīh al-‘ulūm (Le chiavi delle scienze), in cui propose una distinzione tra scienze religiose (o scienze arabe) e scienze dei non arabi, ossia quelle conoscenze appartenenti a popoli pagani, tra cui greci e latini.
Nella prima parte si trovano dunque il diritto, la teologia dialettica (kalām), la grammatica, l’arte della cancelleria, la poesia e la tradizioni storiche; d’altro canto, nella seconda parte, ritroviamo filosofia, logica, medicina, matematica, scienze tecniche e meccaniche, alchimia.
Sebbene questa prima divisione abbia avuto largo successo, va certamente attestata la presenza di un’altra classificazione, operata per mano di al-Ghazālī, fondatore della madrasa, che, nel suo testo Ihyā’ ‘ulūm al-dīn, pone il sapere entro i confini di una scala ascendente al cui vertice è posta la mistica, isolata dalle altre forme di sapere poiché soggetta a sistemi gnoseologici completamente diversi. Seguono quindi le scienze del comportamento (o scienze religiose), scienze del linguaggio, teologia dialettica e filosofia, scienze ausiliari (medicina et similia). Il sistema di al-Ghazālī può essere letto a tutti gli effetti come il criterio più logico per una classificazione del sapere arabo tra XI e XII secolo, potendo dunque essere paragonata a tutti gli effetti alla nostra, ben più europea, suddivisione tra Trivio e Quadrivio, divenuta tanto celebre nelle Università italiane dall’Alto Medioevo in avanti.
Ciò che salta indubbiamente all’occhio, in questo caso, è la naturale propensione a riconoscere nella scienza di Dio la naturale apoteosi del sapere umano, essendo la lettura del Corano non solo fondamento del kalām, ma anche del diritto, delle scienze sociali, della burocrazia e di moltissime altre ramificazioni del sapere umano, che assume quindi, nel mondo arabo, un sapore completamente diverso alla nostra idea di conoscenza.
(1)L. Capezzone, Medioevo Arabo: una storia dell’Islam medievale (VII-XV secolo), Mondadori Università, Milano 2016, p.138
(2)ibid. p.139