di Gabriele Rizza
Ancora una volta, la magistratura è la protagonista indiscussa della politica italiana. L’ultimo capitolo di una lunga saga sono le dichiarazioni del magistrato Amedeo Franco, che gettano ombra sulla condanna del 2013 a Silvio Berlusconi, nell’ambito del processo Mediaset. La Condanna segnò profondamente la carriera politica del Cavaliere e i rapporti di forza nello scacchiere politico italiano. Infatti, oltre la condanna penale, Berlusconi perse la carica di senatore a causa dell’applicazione retroattiva (caso unico in Italia) della Legge Severino. Le parole di Amedeo Franco aprono nuovi scenari giudiziari e politici; giudiziari perché i dubbi sull’imparzialità di quel processo diventano leciti e meritevoli di indagine, politici perché la riabilitazione del Cavaliere potrebbe rilanciare Forza Italia, per molti ridotto a semplice stampella della Lega. E se il governo è a un passo dal baratro, la nuova linfa vitale di Silvio Berlusconi ha le carte in regola per essere l’ago della bilancia nel riassetto governativo.
Nel bene o nel male, è ancora la magistratura a muovere le fila del consenso elettorale. Aldilà dei fatti legati al leader di Forza Italia, la lunga onda della fiducia riposta dagli italiani verso le toghe è ancora viva e vegeta ed è una storia che parte da lontano: inizia nel 1992 con Tangentopoli, attraversa tutta la vita politica di Berlusconi e finisce con le vicende legate ai rimborsi elettorali della Lega e con il processo a Matteo Salvini per sequestro di persona. Nel mezzo, ex magistrati si sono prestati alla politica con parziale e momentaneo successo: Antonio Di Pietro, Luigi De Magistris, Antonio Ingroia. Questa anomalia, tutta italiana, la dice lunga sulla salute della nostra classe dirigente che, considerando comodo attaccare l’avversario politico sulle questioni legali, ha perso completamente il senso della realtà, della riflessione e del contenuto politico. Ha riposto solo nella magistratura (e nell’UE) le speranza di una modernizzazione dell’Italia.
Infatti, abbandonando la cronaca e abbracciando la storia, la forza elettorale della magistratura italiana deve essere vista nella lunga storia della politica nostrana. Le parole chiave, dall’unità d’Italia ad oggi, sono state: modernità/arretratezza. Ovvero, spingere il belpaese ad una forzata modernizzazione, perché rimasta indietro rispetto agli altri paesi europei; ci hanno provato la destra e la sinistra storica, le élite liberali, il fascismo e i partiti della prima Repubblica. Le forze avverse alla modernità sono state sempre considerati quei conservatori e liberali che mal sopportavano l’invadenza culturale e istituzionale dei partiti e delle Istituzioni italiane; in questo senso, si spiegano il successo dell’Uomo qualunque e dei voti al MSI nel sud Italia, gente che voleva lavorare in pace senza il fiato sul collo dello Stato. La prima vittoria di questi italiani è stata con e per Silvio Berlusconi, forte anche della caduta dei partiti della prima Repubblica con tangentopoli.
Le élite politiche avendo perso tutta la loro autorevolezza agli occhi degli italiani, sono state soppiantate dalle toghe. I magistrati parlano pubblicamente di tutto: politica, etica, famiglia ed esteri. In questo modo, si può spiegare l’evidente ruolo subalterno del PD rispetto ai discorsi dei magistrati.
In questo senso, resta aperto un interrogativo: la riabilitazione di Silvio Berlusconi è solo un episodio o cambierà i rapporti di forza culturali?