di Stefano Sannino
«Gli uomini non sono infallibili; le loro verità sono per la maggior parte delle mezze verità; l’unanimità […] non è auspicabile, e la diversità non sarà un male ma un bene […].
[…] così lo è [utile] che vi siano differenti esperimenti di vita; che le diverse personalità siano lasciate libere di esprimersi, purché gli altri non ne vengano danneggiati […]»
Con queste parole J. Stuart Mill apre le prime pagine del terzo capitolo del suo “Saggio sulla libertà”, un’opera magna della filosofia politica, il cui scopo principale è proprio quello di indagare la natura della libertà e le sue forme sociali e civili nella società moderna. È dunque è evidente che già all’epoca della stesura del saggio di Mill (1859) fosse chiaro un concetto semplice e limpido: la libertà dell’individuo non può, in nessun caso, travalicare i confini della libertà altrui.
È un po’, in soldoni, ciò che molti di noi si sono sentiti dire dalle proprie insegnanti elementari, con la celebre frase “la tua libertà finisce dove inizia quella degli altri”.
Eppure, questa banalissima e semplicissima lezione di filosofia politica, pare non essere applicata in tutti gli ambiti della nostra società, nonostante siano passati quasi due secoli dalla pubblicazione del testo di Mill.
L’esempio più cristallino di infrazione a questa semplicissima regola sociale è l’ampissima diffusione che le armi, ancora oggi, hanno in paesi come gli Stati Uniti e che, regolarmente, portano a stragi e morti, come quella di qualche giorno fa in Texas.
È chiaro che l’ampia diffusione di armi sia un incentivo a travalicare quel labile confine di libertà individuali descritto da Mill. Sebbene nei fatti l’arma in sé non sia pericolosa (necessitando nei fatti di una mano che prema il grilletto), non si può assolutamente negare che la sua diffusione e la sua accessibilità sia un incentivo a compiere azioni lesive per le libertà altrui.
La situazione di ampissima diffusione delle armi da fuoco è dunque una materia, oltre che sociale, di libertà: premere un grilletto non significa solo togliere la vita e la libertà ad un individuo, ma anche privare di molteplici libertà a tutti coloro che in qualche modo sono legati a colui che viene ucciso. La libertà all’amore, la libertà alla vita familiare, la libertà alla felicità. Tutto questo viene meno, con una semplice pressione sul grilletto di un’arma da fuoco.
È sintomatico che questo problema sia diffuso proprio in quel Paese che, pochi anni prima (1835) della pubblicazione del “Saggio sulla libertà” di Mill, era stato studiato da Alexis de Tocqueville quale esempio di democrazia e di libertà, molto più progredita nel complesso rispetto alle sue controparti europee. Quello stesso spirito fortemente liberale ed individualista, sviluppatosi maggiormente negli Stati Uniti che altrove nel mondo ha portato ad una naturale deformazione del concetto di libertà individuale, definizione inebriata negli States da una ambivalenza sociale e psicologica, che se da un lato porta a credere agli individui di avere il massimo delle libertà individuali ed il diritto ad aspirare alla massima ricchezza e benessere, dall’altro schiaccia la diversità in una forma di “tirannia della maggioranza”, fuori dalla quale nulla può davvero esistere.
L’esempio americano, studiato ad inizio ottocento come esempio di progresso ma anche di contraddizione, si rivela nel complesso estremamente contraddittorio anche nei tempi moderni, incapace tutt’ora di conciliare le singole libertà individuali e conducendo così alla rovina non solo di moltissime vite, ma anche della società di per sé.