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lunedì, 23 Dicembre, 2024

L'EURO UNO STRUMENTO DA MANTENERE O RIFIUTARE? L'analisi di un docente di politica economica finanziaria

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Sull’euro come collante politico è sufficiente rammentare che nasce dai cosiddetti padri fondatori dell’Unione Europea appartenenti al primo nucleo forte della Federazione (Francia, Italia,Germania,Benelux) e con una serie di loro ben noti leaders di Governo ,da Monnet a De Gasperi, da Adenauer fino a Mitterand,ecc.  Sulla scorta della visione di un Italiano lungimirante, che li aveva preceduti, ossia Altiero Spinelli, forti del successo che arrise ai primi esperimenti d’integrazione economica ,quali la C.E.C.A., Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio ed Euratom, decisi a sopprimere l’ormai storico conflitto franco-tedesco, si spinsero fino ai trattati di Roma con la soppressione delle barriere doganali europee e la libera circolazione di uomini, merci e capitali.

Lo sforzo fu sicuramente facilitato dall’assenza di crisi economiche strutturali come quella del 1929 nell’ambito geografico descritto, mentre erano ampiamente previste le riserve di adesione inglese, ovvero di un Paese, che era già il centro di un suo sistema internazionale ed in cui gli interessi industriali favorevoli erano largamente sopravanzati da quelli finanziari.

I leaders politici del nucleo forte europeo erano tutti ben consci del fatto che, malgrado i successi d’integrazione economica già citati, non esisteva una maggioranza popolare disponibile immediatamente ad abbattere le frontiere degli Stati nazionali e creare una Federazione unica delle sei nazioni, ma immaginarono che l’approfondimento e l’allargamento della stessa integrazione economica, la creazione di istituzioni comuni quali il Consiglio dei Ministri, l’Assemblea Parlamentare e la Commissione, l’omogeneizzazione progressiva della legislazione economica potessero determinare quale risultato semiautomatico la decisione federale.

Ciò non si è verificato anche per il contemporaneo enorme allargamento del numero degli Stati membri, che si è quasi quintuplicato, per le differenze culturali enormi fra Paesi quali la Lituania ed il Portogallo, per le crisi economiche internazionali del 2000.

Già un passaggio chiave e di forte integrazione, quale l’adozione di una moneta unica, l’euro, vede la riduzione degli Stati aderenti a una decina di unità in meno rispetto all’UE, una semplificazione peraltro molto relativa poiché finiranno per far parte dello stesso gruppo un Paese con moneta forte, quale la Germania riunificata e Paesi ad economia debolissima quale la Grecia con scarsissimi strumenti di mutua difesa nei confronti di una finanza internazionale alla quale il Presidente Reagan  tolse ogni limite con l’abolizione del Glass Act. Per suo conto la Germania non ha dimenticato la drammatica esperienza d’inflazione che ha preceduto ed in parte favorito l’ascesa di Hitler. Comunque non vi è dubbio che sul piano politico l’attuale crisi dell’euro metta in forse o comunque rallenti l’obbiettivo federale, ciò che comunque non giustifica l’abbandono della strada.

Il secondo quesito è invece di ordine più strettamente economico, ovvero se l’abbandono immediato dell’euro, a prescindere dalle visioni politiche di lungo periodo, non consentirebbe al nostro Paese di affrontare con più efficacia e rapidità, in mancanza di rigidi vincoli formali sulla spesa pubblica e sul deficit di bilancio, programmi d’investimento pubblico finalizzati a ridurre la disoccupazione, ridurre la tassazione generale delle imprese e via dicendo. Per alcuni si tratta di riprenderci un elemento fondamentale della sovranità nazionale, ossia quello di batter moneta, usurpato da Bruxelles. Su questo punto bisogna fare alcune precisazioni generali, che peraltro vanno considerate in queste analisi internazionali, e precisamente:

1)il problema di batter moneta,  si pone molto prima della sovranità degli Stati nazionali, ovvero nasce quando una comunità si organizza in forma strutturata ed il suo governo deve assicurare ai governati la soddisfazione di bisogni diversificati in maniera più semplice e razionale di un baratto di sopravvivenza;

2)al di là degli obbiettivi federali, la globalizzazione è un processo storico in atto che, attraverso la diminuzione enorme dei tempi e dei costi di trasporto delle merci, la riduzione di fatto delle tariffe doganali e degli ostacoli alla circolazione,l’avvio dello sviluppo in Paesi di dimensione continentale, quali Cina ed India, s’impone comunque e soprattutto a Paesi relativamente piccoli.

Per quanto riguarda il potere di battere moneta, il primo problema affrontato storicamente fu quello di produrla con un valore universalmente accettato ed accettabile, eventualmente anche da altre comunità o da Stati esteri. La prima soluzione intuitiva fu quella di coniarla in un metallo prezioso(oro od argento) e con un peso che potesse corrispondere al valore attribuito. In comunità abbastanza antiche purtroppo il contenuto del metallo prezioso variò nel tempo. Così la lira genovese della gloriosa Repubblica che alla fine del XV secolo conteneva 13 grammi d’argento, nel 1670 era fatta con soli 5,20 grammi, a metà del 1700  con 4,57gr., alla fine della Repubblica nel 1814 con 3,69grammi equivalenti in valore a 0,239 grammi d’oro. In ogni caso il Governo doveva procurarsi il metallo prezioso. A metà del 1700 la Repubblica sarebbe stata certamente ben felice di accreditare due milioni di lire in moneta cartacea, se fosse esistita e se fosse stata accettata, alla Francia per saldare il debito storico di due milioni di lire contratto con Luigi XV per reprimere rivolte in Corsica, ma dovette invece cedere la stessa Corsica. In quegli anni tutte le entrate doganali della Repubblica erano intorno a 1.600.000 lire .

Successivamente le garanzie divennero più sofisticate, attraverso il deposito di percentuali garantite di lingotti auriferi nelle Banche centrali,attraverso il deposito garantito di oro e monete forti (dollaro o sterlina), attraverso tassi fissi di conversione della moneta nazionale in monete forti accettati a livello internazionale. Le competenze delle Banche centrali nazionali, i mercati quotidiani delle monete nelle grandi borse internazionali, le agenzie di rating erano altrettanti monitoraggi riferiti ad una serie ampia di fattori, relativi sia alla robustezza dell’economia nazionale, sia alla quantità di moneta circolante, che a basso costo poteva essere accresciuta dallo stesso Stato per motivi diversi ed a costo di inflazioni successive.

La stampa di moneta cartacea è stata una pratica abbastanza presente nella politica monetaria italiana del dopoguerra per fini diversi, dal finanziamento di programmi pubblici ad un incentivo alle esportazioni ed ha influito sia sul costo del credito, sia sull’elaborazione di correttivi sociali (scala mobile) per sostenere i redditi più bassi nell’inflazione successiva all’aumento di circolante.

Con riferimento all’attuale crisi dell’euro è ovvio che uno Stato nazionale avrebbe stampato ed immesso sul mercato nuova moneta circolante con qualche dose d’inflazione successiva, ma è proprio la facoltà vietata fin dall’inizio alla Banca Centrale Europea dalla Germania, memore della sua esperienza. In questa materia la Germania resta legata alla vecchia teoria economica classica che prescrive l’unico ricorso all’austerità, anche se gli insegnamenti di Friedman sono stati chiaramente superati da Keynes, dal New Deal di Roosvelt durante la crisi del 1929, dagli insegnamenti concordi di due Premi Nobel Usa, Stiglitz e Krugman.

Un altro aspetto strategico è costituito dal commercio internazionale, che toglie ai singoli Stati la possibilità di modificare unilateralmente il valore di beni e servizi secondo loro obbiettivi. L’esempio più evidente è il petrolio che ,acquistato da qualsiasi fonte, ha un prezzo internazionale stabilito e da pagare in dollari con variazioni eventualmente dipendenti dalla quantità o da qualche incentivo. Più un Paese dipende dal commercio internazionale e minore è la sua libertà di manovra dei prezzi. Se un Paese disponesse di un’autarchia totale, ossia disponibilità di tutte le materie prime,produzione di tutti i prodotti e di tutti i servizi in misura da soddisfare quantitativamente tutti i cittadini e quindi di tutti i relativi fattori produttivi (capitale, lavoro e progresso tecnologico), potrebbe stabilire una sua gamma di valori/prezzi,sempre che sia comunque accettata dai soggetti economici (imprenditori e lavoratori). 

L’Italia ha un’alta dipendenza dal commercio internazionale, come ci ricordano semplicemente le valige di fibra dell’autarchia fascista durante le sanzioni della SdN. Per quanto riguarda le esportazioni, la svalutazione della moneta attraverso stampa di moneta aggiuntiva, ha un effetto di brevissimo periodo, poiché nel volgere di un anno o poco più i prezzi dei beni esportati aumentato proporzionalmente alla domanda e si ristabilisce l’equilibrio competitivo internazionale.   

Al contrario un esempio di notevole autarchia è  stato realizzato a livello internazionale dal sistema comunista internazionale: ciò è stato reso possibile dalla presenza di tutte o quasi tutte le materie prime nell’ex Unione Sovietica, dalla specializzazione produttiva di ogni Paese (es. l’agricoltura in Bulgaria, l’elettronica in Germania Orientale, la chimica e la meccanica pesante in Cecoslovacchia,ecc.),dall’isolamento del sistema rispetto a tutto il resto del mondo con qualche rara eccezione, dalla proprietà pubblica del capitale, che rendeva irrilevante il rendimento e quindi dalla tendenza a ridurre il valore di un bene o servizio al lavoro incorporato o necessario a fornirlo.

Premesso che la crisi italiana, intesa come stasi del Prodotto Interno Lordo, ha inizio con il 1995, quando il resto dell’Europa faceva registrare i tassi noti della maturità economica (1,5%-2% incremento annuo), ossia ben prima dell’introduzione dell’euro,per una dinamica produttivistica insufficiente,si osserva un solo limitato incremento nel 2007, ovvero un anno prima dello scoppio pieno della crisi internazionale,per andare in curva discendente fino adesso.

Il giudizio negativo delle agenzie di rating (Moody, Standard and Poor,ecc.),dove il nostro sistema è classificato fra l’ultimo ed il penultimo valore, gli apprezzamenti limitatissimi e largamente inferiori alle sollecitazioni delle stesse istituzioni europee, la riduzione degli investimenti esteri e la possibile scomparsa di interi settori produttivi (automobili, siderurgia, elettrodomestici, ecc.), il giudizio inevitabile di un abbandono del sistema europeo per assoluta incapacità di allineamento anche in un futuro prevedibile farebbero precipitare la nuova lira in attesa di una sua quotazione a valori minimi, coinvolgendo anche, seppur non in modo immediatamente visibile e calcolabile, tutto l’intero patrimonio privato, al quale si fa spesso riferimento come contraltare al debito pubblico. Sembra molto realista pensare ad una svalutazione del 25%-30% rispetto al valore dell’ultima lira abbandonata. Tutto ciò per fare investimenti pubblici in rosso totale senza aggiungere né togliere tasse?  

Prof. Giuseppe Russo
Libero docente di Politica Economica Finanziaria presso l’Università di  Parma, già responsabile della formazione imprenditoriale e creatore del Formaper (Azienda Speciale della Camera di Commercio di Milano), membro dello “steering committee for the small businesses” dell’EFMD di Bruxelles e consulente di marketing strategico.

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