di Abbatino
Ne sono passati di anni da quel: “Letta stai sereno”. Anni nei quali il bomba, come lo chiamano a Firenze, ha toccato le vette di popolarità come mai nessun leader del PD. Il famoso 40% delle europee del 2014, che fece tanto scalpore e mise il vento in poppa a Renzi, già capo del governo. Gli va dato atto: la pugnalata alle spalle che arrivò a Letta fu brutta, ma necessaria al PD. Letta era un giovane vecchio che guidava un governo debole senza anima e senza autorevolezza. Scelta di ripiego del PD che non aveva i numeri con Bersani. Un piccolo burocrate, ancorché colto e cattocomunista. Arrivò Renzi e convinse tanti italiani, anche di centrodestra, a votarlo senza riserve per fare le riforme. Purtroppo per lui esagerò, e fu mandato a casa appena dopo due anni, frantumandosi contro il referendum che lui stesso aveva indetto. Oggi, in una altra fase storica e politica, Letta è tornato in campo a guidare un PD in crisi, unito nel suo nome, che non ha vinto le elezioni nel 2018, ma è al governo con le solite alchimie di palazzo, mentre Renzi ha fondato un nuovo soggetto politico denominato Italia Viva – movimento che sembra più morto che vivo – e con i suoi pochi parlamentari può ricattare il parlamento anche per l’elezione del Presidente della Repubblica. I due non si sopportano, anche per differenze caratteriali, anche se entrambi fanno parte di quel filone democristiano di sinistra, cattocomunista, apparentemente buono. Oggi, nonostante le differenze sono costretti a parlare. Sono all’angolo. Per la prima volta la sinistra non ha voce in capitolo nel determinare il Capo dello Stato dopo molti anni. Se si dividono i due sono ancora più deboli ed emarginati. Letta vuole essere certo che Renzi non voti candidati vicini al centrodestra. Sarebbe una disfatta per la sinistra. Renzi vuole che Letta voti il suo stesso candidato, per non sentirsi inutile in un Parlamento esautorato dai decreti sulla pandemia. Si parlano, si guardano, ma come ieri non si amano.