Ha ragione Maurizio Lupi a fare i complimenti a Mario Mauro, l’elezione del nostro Presidente della Repubblica è stata un capolavoro politico. Il leader dei Popolari ha giocato una partita impeccabile e bene ha fatto l’amico collega a riconoscerlo pubblicamente. Non è una rivincita tra politici di Cl sulle scelte delle ultime europee, che stanno anch’esse in un percorso strategico, è l’ulteriore conferma pubblica della bontà di una decisione comune presa nel Dicembre 2012, quella di schierarsi con Mario Monti.
E se l’ex-Ministro della Difesa ha trovato in Lorenzo Guerini e Gianpiero D’Alia, figure affidabili, intelligenti sul piano politico e capaci di scommettere sulle persone al di là delle apparenze, Silvio Berlusconi può tracciare una linea, fare qualche conto e dire all’ex alleato Umberto Bossi: “Sul piano politico avevi ragione, dovevamo andare a votare dopo lo strappo di Fini, ma oggi ho in mano tre buone notizie per assolvere al compito che la storia mi ha assegnato”.
Quali sono queste buone notizie?
La prima: D’Alimonte sbaglia e Italia Popolare ha una classe dirigente. Indipendentemente dalla legge elettorale, l’alternativa al partito democratico ha risolto politicamente e senza bisogno di primarie il necessario ricambio politico. Berlusconi, non da solo, ha compiuto quello che i socialisti non hanno scelto di fare con Craxi. A 15 anni di distanza, possiamo dire che la responsabilità politica di quanto avvenuto allora è dei socialisti, che hanno lasciato solo il proprio leader.
Da nord a sud Italia Popolare ha una classe dirigente senza bisogno di primarie, di rottamazioni o di lotte intestine. E soprattutto ce l’ha senza l’uso di metodi stalinisti. Fare organizzazione in modo diverso è realtà.
La seconda buona notizia: le aziende di famiglia tornano ad essere strumento centrale per il rilancio del Paese, molto dipenderà dalle abilità di un management, familiare e non, che ha saputo sorprenderci tante volte.
La terza: il gruppo del PPE in Europa ha un interlocutore importante, capace di svolgere fino in fondo la propria leadership.
Fino a qui tutto bene. Ora occorre guardare oltre e affrontare le sfide immediate: nervi saldi, elezioni regionali, modifica delle riforme nei punti che non vanno, quelli per rafforzare la democrazia di un Paese centrale nello scacchiere europeo e internazionale, ma soprattutto quelle per rilanciare una domanda interna che stenta a ripartire e che non è in contraddizione con la parola diritti, come Milano ricorda molto bene. E proprio i tempi nella scelta della candidatura a Sindaco della capitale economica del Paese sono un tassello determinante nel comporre un puzzle che prende forma, in modo del tutto naturale. L’Italia ha bisogno di una buona memoria ed essa si costruisce a partire da Palazzo Marino, indipendentemente da chi guiderà la città nei prossimi anni.
Nei giorni dell’elezione di Mattarella, la mente torna ad un episodio ben noto ma non per questo meno importante … Alla lettera di Togliatti per velocizzare i tempi del suffragio universale, De Gasperi rispose “ho fatto più rapidamente ancora di quanto mi chiedi. Ho telefonato a Bonomi, preannunciandogli che lunedì sera o martedì mattina tu e io faremo un passo presso di lui per pregarlo di presentare nella prossima seduta un progetto per l’inclusione del voto femminile nelle liste delle prossime elezioni amministrative. Facesse intanto preparare il testo del decreto. Mi ha risposto affermativamente.” Tra la fine di Gennaio e l’inizio di Febbraio 1945 venne emanato il decreto legislativo che conferiva il diritto di voto alle italiane che avessero almeno 21 anni.
Non hanno mai fatto un passo indietro, non lo faranno nemmeno questa volta. Anche se in pochi lo riconoscono con i fatti. De Gasperi e Togliatti all’epoca non ne hanno dubitato e hanno lavorato insieme per tutti.
Silvia Davite