Fuoco e Sant’Antonio Abate. Religiosità e folklore. Magia e alchimia. Non una semplice festa, ma grazie a FAP, Fonderia Artistica Popolare e alla guida attenta del maestro Pasquale D’Aniello, si è celebrata una rivisitazione trasversale del culto del Santo Patrono nell’omonimo comune in provincia di Napoli.
Travestimenti, musiche ancestrali, un cippo acceso, fuochi pirotecnici, per una piece di circa un’ora, dove il pubblico stesso si è trovato calato nella macchina attoriale.
Sant’Antonio, abate, uno dei più illustri eremiti della storia della Chiesa.
Nato a Coma intorno al 250 d.C., nel cuore dell’Egitto, e rimasto orfano a vent’anni, distribuì tutti i suoi beni ai poveri e si ritirò nel deserto della Tebaide in Egitto. Successivamente si spostò sulle rive del Mar Rosso, dove condusse vita anacoretica per molti anni.
Già in vita accorrevano a lui, attratti dalla fama di santità, pellegrini e bisognosi di tutto l’Oriente. Anche l’Imperatore Costantino e i suoi figli ne cercarono il consiglio. La sua vicenda è raccontata da un discepolo, sant’Atanasio, che contribuì a farne conoscere l’esempio in tutta la Chiesa. Per due volte lasciò il suo romitaggio. La prima per confortare i cristiani di Alessandria perseguitati da Massimino Daia. La seconda, su invito di Atanasio, per esortarli alla fedeltà verso il Conciliio di Nicea.
Si adoperò infatti molto per fortificare la Chiesa, sostenendo i confessori della fede durante la persecuzione dell’imperatore Diocleziano e appoggiando sant’Atanasio nella lotta contro gli ariani. Tanti furono i suoi discepoli da essere chiamato padre dei monaci.
Nell’iconografia è raffigurato circondato da donne procaci (simbolo delle tentazioni) o animali domestici (come il maiale), di cui è popolare protettore. È invocato anche per le attività agricole e per quelle di allevamento.
Emilia Prisco
Giornalista
La cultura è sempre interessante, fa piacere avere belle storie.
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