di Stefano Sannino
Chi non ha mai sentito parlare del brano “God is a Woman” della celebre cantante italo-americana Ariana Grande, divenuto poi un vero e proprio motto del femminismo moderno degli ultimi anni?
Al di là delle importantissime battaglie del femminismo contemporaneo, tuttavia, questo lapidario “God is a woman” porta con sé, in modo del tutto inconsapevole, tradizioni religiose plurimillenarie che, nel corso dei secoli, sono state dimenticate in favore di quello che potremmo definire un pantheon maschilista. In breve, Dio è davvero una donna?
L’uomo moderno probabilmente strizzerebbe gli occhi davanti ad una domanda come questa, ma anticamente le cose erano molto diverse.
Le prime figure divine ad essere emerse nel bacino mediterraneo, come ben evidenziato dagli studi dell’archeologa M. Gimbutas nel sito di Çatalhöyük, erano infatti femminili.
Collegate agli archetipi di nascita, vita, generazione e fertilità, le prime divinità della storia umana, (si stima infatti che alcune di queste figure potessero risalire al paleolitico superiore!) presentavano tratti sessuali femminili indiscutibili: seni e fianchi prominenti, sopra tutti.
Anche in Oriente però, la percezione di una divinità come essere femminile è rimasta nell’immaginario induista fino ai nostri giorni. Intorno al V-VII secolo, un importantissimo testo chiamato Devi Mahatmya racconta le principali mitologie legate alla figura di una fantomatica Dea dai molti nomi. È quindi anche in Oriente molto antica la tradizione di una divinità femminile dai molti nomi e dai molti aspetti che, nonostante questa sua intrinseca complessità, può essere ricondotta univocamente agli archetipi di nascita e morte, intersecati.
Se pensiamo a come nascono le religioni, storicamente, questa visione ha perfettamente senso: il materno potrebbe essere stato utilizzato dai nostri antenati non soltanto per spiegare il mistero della nascita e tutti gli archetipi “positivi” ad esso collegati, ma anche e sopratutto per razionalizzare tutti gli aspetti più terrifici e divoratori della maternità stessa.
Questa spiegazione leggermente psicanalitica, potrebbe però dimostrare come mai in un gran numero di culture, le prime divinità attestate avessero tale esplicita caratterizzazione di genere.
Esse erano senza dubbio delle figure divine in cui le persone credevano (e, nel caso della Dea indiana, credono tutt’ora), ma anche e sopratutto delle manifestazioni simboliche dei misteri principali della vita umana: nascita, morte e quindi, maternità.
Tutto ciò che misteriosamente ci generava, ci accudiva e ci distruggeva non poteva certo essere il frutto di un dio maschile o “paterno”: il potere della maternità è sempre stato, infatti, da sempre sotto gli occhi di tutti.
Allora oggi, al grido di “God is a Woman” non dobbiamo solo portare avanti quelle sacrosante battaglie di femminismo che sono spesso sinonimo di civiltà e modernità, ma dovremmo anche riscoprire la consapevolezza del materno e della sua naturale ambivalenza, così come anche l’origine femminista e femminile di tutte le religioni presenti sulla faccia della Terra.