di Gabriele Rizza
Ormai è abitudine in Italia che non passi un anno senza un’elezione, che sia regionale, comunale o politica, magari con la novità di sovrapporla ad un voto referendario. Questa onnipresenza delle urne, innescatasi – in particolare nel caso delle amministrative – per esempio grazie a scioglimenti forzati o a dimissioni di sindaci e presidenti per prendere altre cariche elettive, ha messo sul tavolo da gioco dei partiti di governo e di opposizione nuovi metodi di caccia al consenso e di contrattazione politica. Del resto, lo scenario è favorevole a questi sviluppi: il Parlamento italiano (e di riflesso il governo) più che uno schieramento di alleanze coese e coerenti, è un tavolo di contrattazione tra gruppi di parlamentari (o peggio, di singoli) che approfittano di ogni situazione a loro favorevole o sfavorevole all’alleato o all’avversario, per ottenere una particolare riforma o un rimpasto di governo. Inoltre, la mancanza di una legge elettorale efficiente e condivisa, e di una cultura politica che non ha mai fatto suo il bipolarismo (e non è detto sia un male) non vanno a vantaggio della chiarezza e della fedeltà alla propria coalizione.
Il risultato è una campagna elettorale perenne, e i cittadini sanno quanto le campagne elettorali siano spesso più teatro che comizio, più irrealtà che realtà, con la conseguenza che i veri nodi da sciogliere per dare una speranza a questo paese, restano lì appesi al palo. Perciò non c’è teatro peggiore delle “narrazioni politiche” post- voto, come quello che in questi giorni l’Italia sta vivendo: il PD di Zingaretti resiste in Toscana e Puglia, si attribuisce in zona cesarini la vittoria del Sì(quando i suoi elettori e molti deputati hanno in realtà spinto per il No) in modo da prendere per la giacca i grillini, in virtù delle loro croniche batoste nel voto locale e condividendo per interesse tutti i meriti per il trionfo del Sì,per ottenere una legge elettorale a loro favorevole, nuovi ministeri e chissà, l’accettazione del MES.
Infine, la narrazione mainstream vuole un Salvini uscito distrutto da questa tornata elettorale, in quanto la Lega non ha replicato il successo delle europee 2019. La realtà però è ben diversa dal racconto dei tweet giallorossi e degli editoriali “travagliani”; nel voto locale un grande partito si divide in più liste, portando alla casa madre un calo di consensi solo nominale.
Votare sempre e non dare il giusto peso ad un’elezione (peraltro il voto locale è il “principio” della democrazia e meriterebbe più considerazione), affossa ancor di più l’Italia nelle sabbie mobili dell’eterno presente, sempre a danno dei cittadini che non se ne avvedono, tutto a vantaggio di chi punta a stare alto nei sondaggi, non per fondare e creare, ma per sopravvivere.