di Susanna Russo
Laura Galimberti si è laureata con lode in Architettura al Politecnico di Milano con una tesi sulla Normativa prestazionale per l’edilizia, ha poi conseguito un master all’École Centrale de Paris, e ha lavorato come libero professionista nella progettazione di scuole e di strutture ricettive per la collettività.
Al Comune di Milano è stata funzionario, dirigente di ruolo e Direttore di settore, occupandosi di manutenzione dell’edilizia scolastica come direttore dei lavori, di logistica presso il Demanio, di Facility management e della valorizzazione e comunicazione del patrimonio culturale. Dal 2014 è stata coordinatrice della Struttura di missione per il coordinamento e l’impulso nell’attuazione di interventi di riqualificazione dell’edilizia scolastica, istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Ha così costruito relazioni con diversi Ministeri, con le Regioni, ANCI e UPI. Ha fatto parte della giuria del concorso nazionale per le #scuoleinnovative: 50 nuove architetture scolastiche in tutta Italia.
Dal 2018 è Assessore all’Educazione e all’Istruzione per il Comune di Milano.
Cosa pensa riguardo la richiusura delle scuole in Lombardia?
«È stato dato un brutto messaggio: chiudere le scuole prima di altre attività. Poi certo l’intento era chiaro, ridurre la curva dei contagi; ma è stato penalizzante per i bimbi e i ragazzi in primis, ma anche per le famiglie. È stata una decisione improvvisa della Regione comunicata anche al Comune poco prima che alla stampa, quindi siamo stati sorpresi anche noi e non è stato banale organizzare la comunicazione alle famiglie nel giro di poche ore, e l’organizzazione dell’attività in presenza, per chi ne aveva diritto.»
Qual è la sua personale idea sulla DAD?
«È una possibilità emergenziale. Non può essere certamente la modalità abituale di erogazione dell’insegnamento e tantomeno dell’educazione. Ma in situazioni specifiche (come assenze prolungate o ospedalizzazioni) potrà esser utilizzata anche in futuro. Ovviamente ci sono differenze importanti in base all’età dei bambini e dei ragazzi.
Il Comune, ricordo, ha competenza diretta sulle scuole dell’infanzia e sui nidi e – si sa – l’educazione dei piccoli deve essere fatta in presenza. Ma, anche qui, in questo momento particolare, il digitale è una possibilità che può essere sfruttata. Anche per il futuro. Abbiamo dovuto correre e imparare tanto in questo ultimo anno, ma adesso abbiamo una competenza in più che sarà utile nel lavoro dei collegi o nel rapporto con le famiglie.»
Le scuole dell’infanzia sono le ultime a chiudere, quali misure si attuano per tutelare i più piccoli tra le mura scolastiche? E cosa prevede per loro la didattica a distanza?
«Per la ripartenza dei servizi all’infanzia abbiamo attuato – già da settembre scorso – un protocollo, condiviso con il medico competente e i responsabili per la sicurezza e la prevenzione, che contempla l’organizzazione delle sezioni in bolle, l’utilizzo da parte del personale di dispositivi di protezione individuale come mascherine FFP2 e visiere, la misurazione della temperatura all’ingresso e all’uscita, ma anche igiene rigorosa (quest’anno abbiamo stanziato 6 milioni all’igiene dei luoghi e per il personale che se ne occupa).
È stato fatto inoltre un importante lavoro di mappatura degli spazi assicurando a ogni bambino una superficie di 1,8 metri quadrati. Laddove questi spazi non erano garantiti si è provveduto a creare altre sezioni e a ricavare nuovi spazi. Ovviamente molta attività all’aperto.
Nel periodo in cui le strutture sono state chiuse ci siamo attivati per mantenere la continuità del rapporto educativo usando la piattaforma Padlet, attraverso la quale i bambini hanno potuto comunicare con i loro educatori di riferimento. Nel 2020 abbiamo fatto la prima sperimentazione e, in questi mesi, è continuato il percorso con le educatrici in modo che la piattaforma possa essere riutilizzata anche adesso: un’occasione per condividere attività e riflessioni con le famiglie, che integra i Legami Educativi a Distanza (LEAD) previsti per la scuola dell’infanzia, per la quale non si può parlare di DAD.»
La preoccupa vedere gli studenti apprendere e crescere davanti ad un computer?
«La didattica non può prescindere dal rapporto diretto e in presenza tra educatore, insegnante e bambino. Gli strumenti digitali possono rappresentare delle opportunità ulteriori, ma non devono essere l’unico mezzo. Temo la tristezza dei bambini, l’apatia dei giovani e la rabbia degli adolescenti che vedo crescere in questi mesi. Una ferita difficile da rimarginare.»
Che futuro si immagina per i piccoli alunni che fanno il loro primo ingresso a scuola con mascherina e disinfettante per le mani?
«Per un po’ di tempo dovremo adattarci a questa nuova normalità, in questi mesi sono stati proprio i più giovani a dimostrare una straordinaria capacità di adattamento, con una maturità di cui pochi li avrebbero ritenuti capaci. Sono fiduciosa, quindi, che sapranno comprendere l’importanza di queste semplici regole da seguire e che saranno un esempio anche per noi grandi.»
Le è capitato, nell’ultimo anno, di sentirsi arrabbiata o impotente rispetto alla situazione che stanno vivendo gli studenti?
«Certamente anche noi ci siamo trovati a subire decisioni che non sempre abbiamo condiviso. Quello che chiedo è questo sia l’ultimo sforzo che viene richiesto ai più giovani che devono tornare prima possibile a impossessarsi dei loro spazi e della loro vita. Importantissima per raggiungere questo obiettivo è la campagna di vaccinazione del personale scolastico che deve procedere spedita per permettere una riapertura in sicurezza e veramente definitiva.»
Cosa si sente di dire a studenti e genitori in questo momento?
«Vorrei poter promettere loro che tutto questo finirà presto, ma non è mio costume fare promesse che non sono sicura di poter mantenere. Quello che posso assicurare è che faremo tutto il possibile, per quanto di nostra competenza, perché questo obiettivo sia raggiunto al più presto, affinché il diritto all’istruzione e quello alla salute non debbano essere più alternativi.»