Roma: una ragazza con una grave malattia genetica si ritrova costretta all’aborto al quinto mese di gravidanza. Purtroppo per lei, però, i medici che dovrebbero eseguire l’operazione sono tutti obiettori di coscienza e, anche a causa dei cambi turno, lei viene lasciata sola e abortisce nel bagno dell’ospedale, con l’aiuto del marito. Un fatto assurdo, indegno di un paese civile, che pone diversi dubbi.
In questo articolo voglio occuparmi di uno di essi: la possibilità dei medici di non praticare l’aborto facendo “obiezione di coscienza”, una cosa completamente ingiusta.
L’obiezione di coscienza ha senso laddove esiste un obbligo di legge. Ai tempi della leva obbligatoria, la possibilità di non fare il militare, facendo obiezione di coscienza dall’uso delle armi, era giustificato dal fatto che la leva non era evitabile. Chi non voleva usare armi, veniva reindirizzato sul servizio civile. Inoltre chi faceva obiezione, non poteva, in seguito, accedere al porto d’armi, cosa che escludeva la persona da quei lavori che prevedono le armi, come la guardia giurata, per esempio.
Caduto l’obbligo di leva, finì anche la possibilità di obiezione di coscienza, divenuta inutile. Chi non vuole usare armi e combattere non si arruola nell’esercito, e lì tutto finisce. Immaginate una persona che si arruola, vive in caserma, va in missione, prende lo stipendio, ma non fa uso di armi perché è obiettore di coscienza. Non vi sembra un’assurdità? Chi si arruola nelle forze armate sa bene a cosa andrà incontro e cosa dovrà fare.
Per i medici però questo ragionamento pare non valere. Un medico può tranquillamente specializzarsi in ginecologia, essere assunto, anche in strutture pubbliche, e poi decidere di non praticare alcune delle funzioni del suo mestiere per motivi ideologici. Con buona pace di chi si vede negare un servizio che, piaccia o no, è garantito dalla legge. Nessuno obbliga nessuno a divenire medico e a specializzarsi in chirurgia ginecologica. Se un medico non vuole praticare aborti, può specializzarsi, tanto per fare un esempio, in oculistica o in ortopedia. Ma se sceglie la chirurgia ginecologica (od oncologica), ben sapendo a cosa andrà incontro, deve fare ciò che la legge prevede e non potersene chiamare fuori così facilmente.
Sia chiaro: chi scrive non è per nulla favorevole all’aborto. Checché ne dicano, l’interruzione di gravidanza è l’interruzione di una vita umana. Una volta che l’ovulo viene fecondato, diventando zigote, si è in presenza di un essere vivente che, crescendo, diverrà un essere umano completo. Discutere su quando l’embrione si possa definire essere umano (terzo mese? quarto? quinto?), o disquisire sul fatto che l’embrione sia o meno in grado di sognare, è fare filosofia sul nulla e cercare ipocritamente di negare la gravità di una simile scelta. Scelta che è sofferta e pesante per le stesse donne che la fanno, spinte spesso dall’impossibilità di mantenere il figlio o dalla solitudine in cui sono lasciate dalle istituzioni. Non giudico quindi le donne che decidono di abortire, rispettando la loro sofferenza e la loro scelta, ma non tratto l’aborto come fosse una scelta qualunque, come tagliarsi i capelli.
Nonostante l’aborto sia una cosa negativa, ritengo giusto che sia possibile farlo, nei limiti posti dalla legge. Vietarlo non evita gli aborti, ma peggiora solamente la situazione. Prima che la legge fosse approvata, gli aborti clandestini erano tantissimi. Molti imponevano l’aborto alle figlie rimaste incinta prima del matrimonio, per evitare lo “scandalo”. A praticare l’aborto erano persone del tutto impreparate da un punto di vista medico, che utilizzavano attrezzi come ferri da calza o cose simili. Le donne che subivano un simile trattamento restavano spesso danneggiate in modo permanente o, a volte, morivano. In caso di emorragie o altri problemi insorti per l’aborto, le ragazze non venivano subito portate in ospedale. I medici avrebbero infatti compreso cosa era successo e avrebbero denunciato il tutto. E a mettere in contatto le famiglie con i macellai che praticavano l’aborto erano proprio quei preti cattolici che oggi tuonano contro l’aborto e vorrebbero proibirlo.
La legalizzazione dell’aborto ha portato a ridurre il danno, garantendo alle donne la sicurezza del processo. Nel tempo, poi, il numero di aborti è diminuito, grazie al maggior benessere e al cambiamento sociale. Una ragazza-madre, qualche decennio fa, sarebbe stata emarginata e avrebbe avuto grandi difficoltà a crescere il figlio. Oggi, per fortuna, non è più così. Certo, le difficoltà ci sono ancora, ma non per l’emarginazione delle ragazze-madri, ma per la situazione economica difficile e per la mancanza di opportuni servizi. E qui sta l’ipocrisia di certi politicanti e attivisti di quelle lobby cattolico-romane che del problema si lavano le mani, come fece Pilato, pretendendo di poter fare obiezione di coscienza, e nicchiando sui problemi veri. Forse, se invece di fare i falsi moralisti, si cercassero soluzioni ai problemi reali delle madri (sposate o meno che siano) e si dessero quegli aiuti e quei servizi che darebbero la possibilità alle donne di scegliere con coscienza e con serenità di portare a termine la gravidanza, avendo la certezza di poterli sfamare e crescere, si eviterebbero gran parte degli aborti. Impedendo gli aborti, invece, si otterrà solamente il ritorno all’aborto clandestino. E non credo che questo sia “cristianamente accettabile”.
Infine, dobbiamo porre l’accento su un altro punto non irrilevante. Il numero di medici obiettori è molto alto. Si parla di una media nazionale del 70%, con punte in alcune regioni perfino dell’85%. Davvero tutti questi medici sono tanto credenti e fedeli al cattolicesimo? Io ne dubito. Piuttosto, mi chiedo, se tanta devozione non sia dovuta a ragioni di stipendio, carriera e tranquillità. La sanità italiana è in gran parte controllata da lobby cattolico-romane (CL e Opus Dei in testa) e i medici che non fanno obiezione di coscienza vengono ostacolati nella carriera, messi da parte e sono spesso oggetto di mobbing da parte della dirigenza degli ospedali. Una situazione insostenibile, che ricade tutta sulle pazienti, già appartenenti a una fascia debole della popolazione.
È dunque ora di porre fine a questa prepotenza mascherata da “obiezione di coscienza”. Nessun medico deve poter imporre il suo proprio giudizio morale alle pazienti. Nessuno deve poter negare a una cittadina un diritto previsto dalla legge. E chi non desidera praticare aborti, si licenzi pure. Nessuno lo obbliga a fare il medico. Ci sono tanti altri lavori che non pongono problemi di coscienza.
Enrico Proserpio