di Martina Grandori
Era data per favorita, era la perfetta divulgatrice della svolta green che molti attendevano. Ma non ce l’ha fatta, il Nobel per la pace è andato al Primo ministro etiope Abiy Ahmed Ali. E da qui si scatena il tornado, di quelli pro-Greta, arrabbiati e delusi, a quelli che invece in maniera più lungimirante concordano sulla scelta del comitato Nobel.
Nonostante la dirompente scia dei grandi successi riscontrati in questi ultimi mesi che hanno visto Greta Thunberg invitata a parlare davanti ai grandi della Terra, l’Accademia norvegese non se l’è sentita. Ha deciso di non assegnarle quel Nobel per la Pace che in molti davano già per assodato, suscitando delusione sul viso di quei sette milioni di ragazzi che nelle scorse settimane sono scesi in piazza per protestare contro questi governi ancora insensibili al cambiamento climatico.
Ma perché Abiy Ahmed Ali e non Greta Thunberg, ideatrice dei Fridays For Future, artefice delle manifestazioni per promuovere politiche e comportamenti sostenibili? Cosa ci sarà dietro una scelta del genere viene da chiedersi. Forse è più semplice di quel che si possa ipotizzare. Forse la furia di riconoscimenti a Greta Thunberg da parte soprattutto dei potenti della Terra potrebbe essere un modo per lavarsi le mani, uno scudo che nasconde l’inerzia di una lista di politici in ambito di politiche green. Alla fine dietro ci sono sempre enormi interessi economici, è risaputo.
Dirompente l’ondata sì Greta, troppo se si osserva e studia con un distacco sensato tutto questo polverone mediatico che ha sì risvegliato le coscienze studentesche, ma in Italia chi ha assistito ai Fridays For Future ha visto anche un altro risvolto della medaglia. Diventata anch’essa virale sul web. Erano i manifestanti che gozzovigliavano nelle zone calde a latere delle manifestazioni senza troppo badare al motivo effettivo per cui non erano in classe a studiare. Sono girati video e foto di qualsiasi genere su come trascorrevano il tempo a bisbocciare.
Forse anche questa superficialità e ignoranza giovanile è colpevole: a 16 anni in un attimo è diventata l’eroina mondiale dell’ambiente, in fondo per ragazzi tutto oggi è così veloce ed esplosivo che non si è badato più di tanto al messaggio di cambiamento che c’è dietro. Celebrarla tutti, decantarla in ogni momento (Time l’ha iscritta fra i 25 giovani più influenti al mondo) ma senza mai sporcarsi le mani o fare qualcosa di forte per dare seguito alle sue richieste. L’establishment comanda e all’establishment faceva comodo così.
A screditare tutto il movimento Fridays For Future si sono aggiunti anche una fazione di scienziati che placa questo generale allarmismo che ha un che di ignoranza. Bisogna approfondire le problematiche più seriamente, partendo anche dalle scuole. La beniamina ambientalista ha mosso le masse, ma manca progettualità concreta, manca informazione.
E poi c’è un’altro motivo per cui forse l’Accademia norvegese ha optato per il premier Abiy Ahmed Ali, considerato una speranza di pace per l’Africa. E l’Africa ha un peso incredibile per il futuro del pianeta. Economiche in primis. Insensibilità verso la politica green? Pragmatismo dell’Accademia? Oppure più semplicemente il mondo si è accorto che il ruolo della Thunberg come leader è oggettivo (soprattutto fra gli studenti), ma da solo zoppica?
Una sedicenne, seppur con un carisma e 100 marce in più rispetto ai suoi coetanei va supportata da un piano da parte dei potenti della Terra. Il mondo di oggi va velocissimo, in poco tempo – poco più di un anno – , si è dato a Greta lo scettro di paladina dell’ambiente, ma forse non lei era pronta a tutto ciò e l’abbiamo bruciata etichettandola sbrigativamente come un ennesimo bluff. Non si può giudicare in maniera tranchant, il mondo ha indubbiamente bisogno di una influencer in cui immedesimarsi e per cui vale la pena di scendere in piazza, ma a lei manca un qualcosa. Manca quella costruttività che si riconosce un po’ di più agli Extinction Rebellion, movimento inglese non violento che parte dalle strade in risposta alla devastazione ecologica causata dall’uomo.
Il punto di partenza è quindi sempre il risveglio della coscienza ecologica che parte sì dai giovani, ma che gli adulti, la classe dirigente, i pensatori devono poi condurre ad un traguardo. Altrimenti il castello crolla.