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venerdì, 20 Dicembre, 2024

L’ABITO FA…. IL POETA DUE TOSCANI ALLA TAVOLA DEL RE DI NAPOLI

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di Fabiola Favilli

Dante Alighieri ci ha fornito nella Divina Commedia non solo il primo testo in lingua volgare, ma anche un’impareggiabile visuale sulla vita, le abitudini e la geografia medioevali.

La religione aveva enorme importanza nell’alimentazione medioevale perché questa era scandita ed ispirata dal calendario liturgico: il consumo di carne era proibito ai cristiani per un buon terzo dell’anno, inoltre tutti osservavano il digiuno prima di ricevere l’eucarestia e tali digiuni potevano durare anche un giorno intero e comportavano l’assoluta astensione dal cibo.

La dieta dei nobili e dei prelati di alto livello era considerata un segno della loro prosperità economica. I banchetti importanti seguivano un rigido protocollo, che regolava tanto la disposizione delle tavole quanto il posto assegnato ai convitati o la natura più o meno raffinata delle portate.

Le tavole ricoperte da tovaglie, erano comunemente disposte ad U ed i convitati ne occupavano il lato esterno per meglio godere degli svaghi che venivano loro offerti al centro. La tavola centrale, a volte detta tavola alta perché posta su una predella, era riservata al principe e ai suoi ospiti d’onore. Gli altri invitati di riguardo occupavano il capotavola, cioè i posti più vicini al principe, mentre quelli di rango inferiore erano fatti sedere all’altro capo, in un rigoroso rispetto della gerarchia sociale.

Secondo la tradizione letteraria toscana, lo stesso Dante fu vittima di questo protocollo. Invitato da Roberto d’Angiò, figlio di Carlo II Re di Napoli, narra Giovanni Sercambi, giunse al Palazzo Reale “vestito con negligenza, come soleano li poeti fare”. Era ora di pranzo e, a causa del suo abbigliamento, “fu messo in coda di taula”. Dato che aveva fame, mangiò lo stesso, ma appena terminato il pasto lasciò la città.

Roberto d’Angiò, rammaricato di non aver tributato all’illustre ospite i dovuti onori, gli inviò un messaggero e lo invitò nuovamente a corte. Stavolta Dante si presentò a pranzo riccamente vestito, per cui il Re lo fece mettere “in capo della prima mensa”. Il servizio era appena iniziato quando il poeta cominciò a rovesciare cibi e vini sui suoi begli abiti: “Dante, prendendo la carne, et al petto e su per li panni se la fregava. La carne bollita se la mise sul braccio, sulle spalle si appese degli uccelli interi”. Al Re che, stupefatto, gli chiedeva i motivi del suo atteggiamento, rispose: “Santa Corona, io cognosco che questo grande onore ch’è ora fatto, avete fatto a’ panni e pertanto io ho voluto che i panni godano le vivande apparecchiate. E che sia vero, vi dico io non ho ora men di senno che allora quando prima ci fui, che in coda di taula fui asettato, e questo fue perch’io era malvestito. Et ora con quel senno avea son ritornato ben vestito e m’avete fatto stare in capo di taula” . (Sercambi, novella LXXI).

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