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mercoledì, 18 Dicembre, 2024

L’ABBAZIA DI CHIARAVALLE: «TUTTI GLI OSPITI SIANO ACCOLTI COME CRISTO IN PERSONA»

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di Angelo Portale

A Sud di Milano, proprio alle porte del Parco Agricolo Sud, nella zona di Porta Romana e precisamente in Via Sant’Arialdo 102, c’è un vero gioiello che forse non tutti i milanesi conoscono o hanno visitato. Si tratta dell’Abbazia di Chiaravalle, fondata nel 1135 da San Bernardo di Chiaravalle. Attualmente è abitata dai monaci cistercensi che, oltre a vivere la loro vita monastica centrata sull’Eucarestia e sulla Liturgia delle ore, svolgono un’importantissima attività spirituale, storica, culturale e, soprattutto, di accoglienza verso chi decide di regalarsi qualche giorno di silenzio, meditazione, spiritualità. I Cistercensi si rifanno alla Regola di San Benedetto (480-547). In questa Regola, considerata un capolavoro di equilibrio tra preghiera e lavoro, Benedetto affermava: «Tutti gli ospiti siano accolti come Cristo in persona perché lui stesso dirà: Ero forestiero e mi avete accolto».

Ma andiamo con ordine e cerchiamo innanzitutto di risalire alle origini di questo complesso monastico, di vedere poi il carisma dei cistercensi e, infine, anche l’aspetto legato all’accoglienza e alle attività oggi presenti al suo interno.

  1. STORIA

L’Abbazia come “luogo spirituale” fu fondata nel 1135 da Bernardo di Chiaravalle insieme ad un gruppo di monaci. Dalla Francia si erano trasferiti nei pressi di Milano desiderosi di riscoprire in modo ancora più fedele il motto della Regola Benedettina: «Ora et labora» cioè «Prega e lavora». Ci volle però circa un secolo di lavoro per completare la “struttura fisica”. In tutto questo periodo i monaci non erano impegnati solo alla costruzione ma anche alla bonifica di terreni e a lavorarli, rendendoli campi molto fertili. Cooperarono così ad un notevole sviluppo di quelle zone e ad un maggiore benessere della popolazione. Quei monaci furono capaci di creare una vera e propria azienda agricola, molto all’avanguardia ed efficiente per quei tempi: mulini a vento venivano usati per lavorare il grano. Grazie a questo contributo, la zona sud di Milano è oggi una delle campagne più ricche d’Europa.

«La costruzione dell’opera fu molto supportata anche dalla popolazione milanese e per la sua realizzazione i monaci ricevettero elemosine da benefattori e autorità». Non è difficile immaginare che nel corso dei secoli la struttura ha subito distruzioni, rifacimenti e ricostruzioni.

L’Abbazia, dice la tradizione, è stata il luogo dove intorno all’anno mille, circa, «[…] i monaci cistercensi misero a punto la ricetta del Grana Padano, come espediente per conservare l’eccedenza di latte» frutto dell’allevamento di numeroso bestiame.

Numerose sono le opere d’arte di valore contenute nell’Abbazia e nel complesso monastico. All’interno troviamo un documentatissimo archivio della Congregazione cistercense e la famosa Biblioteca S. Maria di Chiaravalle con oltre 25000 volumi antichi e moderni e riviste specialistiche di monastica.

Ma chi era San Bernardo di Chiaravalle? Chi sono i monaci cistercensi? Nel concreto, che spiritualità vivono?

  1. SAN BERNARDO DI CHIARAVALLE

Di origini francesi visse tra il 1090 e il 1153. Fu canonizzato nel 1174 ed è anche Dottore e Padre della Chiesa. Oggi è venerato non solo nella Chiesa Cattolica ma anche dalla “Comunione Anglicana”. È patrono di Gibilterra, degli agricoltori, degli apicoltori, dei ceraioli. Nella Divina Commedia, Dante lo colloca nel Paradiso (Canto XXXI) quando, scomparsa Beatrice, trova di fronte a sé proprio Bernardo (allegoria dell’estasi beatifica) che gli indica di osservare «[…] la cima della Rosa nella sede più luminosa di Maria». La famosissima preghiera (presente nel Canto XXXIII): «Vergine Madre, figlia del tuo Figlio, umile ed alta più che creatura, termine fisso d’eterno consiglio, tu se’ colei che l’umana natura nobilitasti sì, che ‘l suo Fattore non disdegnò di farsi sua fattura […]», è proprio un’invocazione che Dante mette in bocca al Santo affinché possa intercedere per lui: perché possa vedere Dio.

Bernardo fu di animo molto schietto. Non ebbe difficoltà a criticare la vita monastica di quel tempo quando veniva meno la povertà, l’accoglienza, l’ascesi. Entrò in conflitto con il filosofo Pietro Abelardo, lottò contro gli eretici, ebbe parte “attiva” alle crociate predicandone la seconda. Finissimo teologo ed eminente mariologo, scrisse molte opere. Morì forse per un tumore allo stomaco nel 1153.

È stupenda la sua dottrina sui “Quattro gradi dell’amore”, presente nella famosa opera “De diligendo Deo”, che descrive l’itinerario dell’anima da se stessa a Dio e da Dio a se stessa. In sintesi: l’anima innanzitutto ama se stessa per se stessa; poi, aprendosi alla grazia e iniziando un percorso di ascesi nell’amore, inizia ad amare Dio ma per se stessa; poi amerà Dio non per sé ma per Dio stesso. Infine l’anima sarà capace di amare se stessa per Dio. È il quarto grado dell’amore, descritto così da Bernardo:

 

«Quello cioè in cui l’uomo ama se stesso solo per Dio. […] Allora, sarà mirabilmente quasi dimentico di sé, quasi abbandonerà se stesso per tendere tutto a Dio, tanto da essere uno spirito solo con Lui. Io credo che provasse questo il profeta, quando diceva: “Entrerò nella potenza del Signore e mi ricorderò solo della Tua giustizia”. […]».

 

[continua]

 

SITOGRAFIA

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