di Stefano Sannino
Viviamo circondati da icone. Icone sacre, icone profane, icone di ogni genere riempiono la nostra vita. Dalla televisione ai cartelloni pubblicitari, dai luoghi di culto ai social media, tutto oggi è fondato sul culto dell’immagine. Nel malsano tentativo di raggiungere la perfezione, annaspiamo e abusiamo della chirurgia estetica, per essere come “loro”. Loro, che vediamo sui instagram con i loro addominali scolpiti, i loro seni prosperosi, la loro vita perfetta: sempre in vacanza, sempre divertiti, sempre belli. Il culto dell’immagine ha oggi raggiunto un’ossessività tale da causare, secondo l’Università della Pennsylvania, un aumento della sintomatologia legata alla depressione nelle nuove generazioni.
Ogni giorno, il 79% dei ragazzi passa più di 4 ore sui social media, ammirando, cultuando e venerando quei “loro” dalle vite perfette, i cosiddetti “Influencers”. Si è arrivati perfino a coniare un termine per indicare la paura di rimanere tagliati fuori da questo mondo, la FOMO, abbreviazione per fear of missing out.
E mentre proprio siamo impegnati a venerare le immagini di coloro che vediamo sui social media, non ci accorgiamo che loro, proprio come Dorian Grey con il suo quadro nascosto in soffitta, non fanno altro che nascondere i lati peggiori di sé, le loro infelicità, i loro dolori, le loro imperfezioni. Siamo talmente ebbri dell’idea di perfezione che non abbiamo perso la facoltà di distinguere il vero dal falso, il bello dal brutto, il bene dal male. Non siamo più in grado di riconoscere che anche gli influencers sono infelici, che un capo di abbigliamento non è bello solo perché lo mettono “Loro”, né che un’azione è positiva solo perché fatta da “loro”. Lo stato di ebbrezza in cui siamo stati imbevuti con l’abuso di social media ci ha fatto diventare poco più che degli automi: compriamo cosa ci dicono loro, perché ce lo dicono loro, quando ce lo dicono loro. Un partito politico può essere condannato da una influencers, così come una celebrità può essere “cancellata” dal pubblico a causa di un piccolo errore. Siamo soldati nelle mani di un generale crudele e spietato, un generale che abbiamo creato noi stessi. E questo generale ci sta condannando tutti a morte.
Ma a cosa serve questo spietato culto delle immagini? A cosa serve fare un così profondo riferimento a ciò che sappiamo, in cuor nostro, essere una menzogna?
Fin dai tempi più antichi le immagini vengono impiegate, in ambito sacro e profano, come ipostatizzazione: vale a dire come rappresentazione materiale di qualcosa che materiale non è.
Quando guardiamo la pietà di Michelangelo, per esempio, sappiamo che non stiamo guardando realmente Maria di Nazareth che tiene tra le braccia suo figlio, esattamente come le statue degli imperatori romani venivano messe nelle piazze e nelle vie di tutte le città per ricordare al popolo chi fosse il loro sovrano. Le immagini, in poche parole, ci servono per guardare l’invisibile e per ricordarci di determinati eventi, personalità o leggende.
Ed è proprio di questo che si tratta, ancora oggi: instagram non è che un enorme foro latino, dove al posto delle immagini dell’imperatore vi sono decine di migliaia di immagini diverse, ciascuna posizionata lì con lo specifico intento di primeggiare e di mentire allo spettatore.
Questa menzogna, però, è diventata così reale che siamo finiti per crederci. Ormai non sappiamo più cosa si nasconde dietro l’immagine: è l’immagine a rappresentare se stessa e noi siamo e resteremo suoi sudditi fedeli.