1. I mestieri più difficili
Secondo Sigmund Freud“I mestieri più difficili in assoluto sono nell’ordine il genitore, l’insegnante e lo psicologo”. Vale a dire i servizi (non i poteri) svolti da esponenti qualificati delle Formazioni sociali e delle Istituzioni pubbliche e private che, nel loro insieme, costituiscono la comunità educativa.
Si tratta di mestieri da sempre e dovunque considerati essenziali per raggiungere il perfezionamento umano, soprattutto nel difficile passaggio di mano tra le generazioni. Quando si rende urgente liberare nei giovani il loro prezioso capitale umano, ossia la loro spontanea capacità di realizzarsi in una comunità di destino(unità nella diversità, diversità nell’unità).
Si può forse spiegare così perché la grave emergenza da SARS-Cov-2 (nota come Covid-19), che dai primi mesi dell’anno 2020 ha sconvolto l’assetto sociale ed economico planetario, oltre a evidenziare la fragile tenuta del nostro sistema sanitario, ha particolarmente colpito le tre sopra citate funzioni, già tutte stravolte dai cambiamenti epocali in atto.
Si ha riguardo perciò anzitutto alla famiglia, quale originario nucleo formativo, insieme alla scuola qualelaboratorio vivente teso a rimuovere – attraverso il bene comune primario dell’apprendimento – gli ostacoli che si frappongono alla uguaglianza. Senza poi trascurare lo sconvolgimento dei moti dell’anima, sospesi tra paura della morte incombente e la tirannia della sicurezza; emozioni umanissime che hanno a che fare con la salute psichica e che per questo sono indagate dalla psicologia comportamentale e dall’antropologia relazionale.
La crisi ha esposto a rischio il già precario buon andamento del pianeta scuola, tuttora ostaggio dei bisticci della politica e delle molte incertezze circa le modalità di esercizio dell’attività didattica in condizioni di piena sicurezza.
Stando infatti a talune proiezioni scientifiche, si teme il devastante impatto sul complesso sistema scolastico di una prevedibile persistente – anche se attenuata – emergenza sanitaria da peste coronata (coronavirus). Evenienza che peraltro appare più allarmante se rapportata agli apocalittici scenari evocati da connesse pandemieeconomiche e sociali, fonti a loro volta di nuove povertà e di rischiose tensioni collettive.
2. Smart working e didattica via webinar
Da un lato l’opinione comune ha attribuito alla chiusura delle scuole, durante il lungo periodo di lockdown, la causa di una vasta dispersione scolastica, nonché di un generale disimpegno da parte degli studenti e degli stessi insegnanti.
Dall’altro viene in qualche modo valutato positivamente il ruolo alternativo di supplenza assolto dagli strumenti digitali e dal sussidio degli algoritmi, per tenerci…in contatto in quel drammatico contesto.
Si può più in generale rilevare che il lavoro agile o da remoto, sperimentato durante il lockdown, ha accelerato i processi di digitalizzazione e anticipato prospettive di più ampio respiro, che inducono tutti a ripensare vita e lavoro in un mo(n)do diverso. Dove vanno a scomparire vecchi mestieri e se ne creano di nuovi in un sistema rivoluzionato dalla tecnologia della comunicazione, che però, essendo ancora poco regolata, non sa distinguerele notizie vere da quelle false.
A sua volta la scuola si è vista costretta, in un rapido orizzonte temporale, a interrogarsi sulle nuove sfide educative e culturali, che inevitabilmente interessano la didattica, la ricerca e l’innovazione nella società della conoscenza.
Le rinnovate dinamiche della conoscenza, un po’ sull’esperienza di talune università (che non sono scuola), fanno intanto presagire che l’impegno lavorativo e di studio a distanza rendono possibile conciliare tra loro famiglia, apprendimento, professione e tempo libero.
Tuttavia alcuni operatori scolastici e in specie gli studenti delle primarie giudicano la teledidattica “fredda” rispetto al tradizionale insegnamento frontale o dal vivo.
Infatti, le lezioni via webinar (seminario via Internet) – frapponendosi lo schermo nel dialogo con gli allievi – non riescono a creare quel clima di creatività e di cordialità (dal latino, cuore), derivanti della presenza quale primo ingrediente dell’apprendimento.
Perciò, onde evitare gli attuali buchi formativi, l’educazione e l’istruzione sono finora ritenute più efficaci se svolte attraverso la comunicazione diretta in presenza. Dove hanno importanza decisivai gestie la forza, i colori e le infinite sfumature della parola, intesa quale incarnazione di Dio o – per chi è laico – come voce della coscienza.
Il giudizio negativo sull’insegnamento da remoto non dipende solo dalle incrostazioni culturali e protocollari della didattica convenzionale. Infatti, anche se nel mondo permanentemente interconnesso prevale l’idea che la rete rappresenta ormai l’intelligenza condivisa, la resistenza all’uso in pedagogia dei suddetti nuovi metodi tecnologici si basa piuttosto sulla fondata opinione che il rapporto speciale maestro-allievo richiede l’empatiae l’affettività. Virtù che purtroppo non sono di moda nel clima di indifferenza che caratterizza le attuali manifestazioni della povertà educativa.
Pertanto, per andare oltre tale povertà, a prescindere dai rischi (residui?) del contagio clinico, è anzitutto essenziale sconfiggere l’isolamento, indirizzando i ragazzi verso la condivisione formativa e responsabile di tutti i luoghi sociali, educativi, affettivi, di contesto e di gruppo.
3. Verso la didattica digitale integrata
Intanto, ripetuti sondaggi di gradimento certificano che molti processi produttivi, compresi quelli bruscamente innovati e accelerati da Covid-19, traggono vantaggio dalla attività lavorativasvolta a distanza.
E’ infatti evidente che la flessibilità a livello di organizzazione di orari e di spazio concorre a incrementare la competitività aziendale, a ottimizzare i risultati e a responsabilizzare il dipendente, spostando la valutazione del lavoro dal tempo al risultato della prestazione; come del resto già previsto dalla legge n. 81/2017 sulla disciplina del lavoro agile (smart working).
Come già si è detto, non sembra però che i citati nuovi modelli aziendalistici, sostanzialmente strutturati sulla logica della retribuzione e del profitto, possano pienamente adattarsi all’educazione scolastica, la quale è invece finalizzata a valorizzare il prodotto immateriale della conoscenza, nella prospettiva di una più ampia visione etico-sociale.
Comunque, anche se il diritto all’istruzione è garantito dagli articoli 33 e 34 della Costituzione come prioritario rispetto a ogni emergenza, si riscontra da lungo tempo la inidoneità del nostro vetusto apparato scolastico-educativo a innovarsi – nella programmazione e nella comunicazione – per svolgere le proprie delicate funzioni con efficienza ed efficacia.
Tale incapacità è attribuita alla carenza di risorse materiali e strumentali, di idonei modelli organizzativi, e in particolare al deficit di capitale umano, cioè di operatori qualificati, motivati … e meglio pagati.
Nel sopra descritto contesto di transizione permanente, la strada appare per ora tracciata in direzione della rivoluzionaria didattica digitale integrata. La quale si impone in ogni caso come ragionevole compromesso tra il lavoro e l’insegnamento, parte in presenza e parte in via web.
Anche se – complice coronavirus – la scuola smart (brillante, intelligente, flessibile) ha tutta l’aria di essere l’anticamera della probabile futura scuola … virtual-robotica.
4. Scuola “diffusa” e misure precauzionali
Per quanto riguarda la scuola, la lamentata situazione sembra destinata ad aggravarsi a causa della difficile esigibilità e praticabilità delle confuse e costose misure preventive, precauzionali e contentive di sicurezza, imposte per tutto il periodo di vigenza dello stato di emergenza, a cominciare dal distanziamento interpersonale (da bocca a bocca, da spalla a spalla?).
Intanto, per prevenire possibili contagi negli spazi interni ed esterni, le autorità competenti, spesso in affannosa e pasticciata concorrenza fra loro, hanno messo in campo un ingestibile groviglio di protocolli, linee guida, regole prescrittive, sistemi di controllo e sanzioni repressive di varia natura.
In tale marasma, basta por mente al nodo del trasporto pubblico locale di circa otto milioni di studenti. Si tratta di problemi economici e logistici certamente non del tutto risolvibili attraverso nuovi sistemi di areazione sugli autobus, o derogando al distanziamento in caso di percorso inferiore ai quindici minuti, oppure inserendo tra i posti disponibili degli automezzi, divisori(paratie mobili tipo tendine) denominati con brutto termine “parafiati”.
Si parla anche di riduzione del numero degli alunni, ricorrendo a turnazioni tra loro, con allargamento delle fasce orarie di entrata e di uscita, onde evitare il problematico sovraffollamento delle cosiddette – con altra sgraziata immagine – classi pollaio.
Per evitare il caos, è quindi immaginata una sorta di scuola “diffusa” sul territorio attraverso la realizzazione di nuovi spazi e la stipula di speciali contratti di locali aggiunti a quelli esistenti (container , b&b, ecc.).
Viene altresì riesumato il classico insegnamento peripatetico (in greco, passeggio) proprio dei seguaci di Aristotele, didattica oggi definita “outdoor”. Quindi lezioni all’aperto nei cortili, nei parchi, nei gazebo e simili, ritenute in grado di aumentare il coinvolgimento dei ragazzi e di far vivere inediti contesti di relazione e di responsabilità.
Tuttavia, a prescindere dalle invitabili ricadute sulle famiglie e premessa la responsabilizzazione dei giovani nell’uso accorto anche del tempo libero e della movida, la didattica integrata (diffusa o “outdoor”) richiede il preventivo non sostenibile finanziamento di nuove strutture e di più ampi ruolidi operatori scolastici.
Sarà comunque necessario rivoluzionare l’intera organizzazione della programmazione scolastica, rinnovare il Patto-Alleanzadi corresponsabilità educativa per una collaborazione attiva tra scuola e famiglia, e rendere efficiente il coordinamento tra il previsto referente Covid-19 e la rete sanitaria nazionale e territoriale, ai fini della prevenzione e della cura di eventuali contagi. Cerchiamo intanto di lasciarci alle spalle l’attitudine al distacco dai contatti sociali, abbandonando nel contempo la triste prudenza eredita dalla morsa del blockdown.
Dott. Benito Melchionna
Procuratore Emerito della Repubblica