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giovedì, 14 Novembre, 2024

LA RIVOLUZIONE IRANIANA NELLE FOTOGRAFIE DI ABBAS. Un fotografo con un appuntamento con la Storia. Parte 1

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di Alessandro Giugni

Quella di Abbas Attar, fotografo Magnum scomparso nel 2018, è stata una vita indissolubilmente legata alle vicende che hanno sconvolto la sua terra d’origine, l’Iran.

Nato a Khash nel 1944, all’età di 8 anni emigrò insieme alla famiglia in Algeria, paese questo che, tra il 1954 e il 1962, divenne scenario della guerra d’indipendenza algerina. È qui che Abbas per la prima volta entrerà in contatto con un evento storico. «Ero un ragazzo e ho visto la Storia farsi ogni giorno sotto i miei occhi […] Per un ragazzino interessato a capire e raccontare le cose, la scelta di diventare giornalista fu quasi naturale». E, quando la Storia la si incontra da bambini, si acquisisce la capacità di riconoscerla per tutta la vita e di capire in anticipo quando una vicenda socio-politica sta per raggiungere il punto di rottura. Una caratteristica questa che contraddistinguerà Abbas lungo tutto la sua carriera.

Al suo ritorno in Iran nel 1971, dovuto alla volontà di documentare le sfarzose celebrazioni indette dallo Scià in occasione dei 2500 anni della monarchia persiana, il fotografo percepì l’esistenza di una sempre più netta divisione del paese tra ricchi e poveri, tra modernizzazione e arretratezza. E così nel 1977 decise di mostrare al mondo le profonde contraddizioni del suo paese d’origine attraverso un lavoro fotografico nel quale avrebbe voluto raccontare la vita di 12 persone di diversa estrazione sociale. La più iconica delle immagini tratte da questo lavoro è sicuramente quella nella quale viene immortalato Askar, un giovane uomo che faceva le pulizie in uno dei saloni di bellezza più in voga a Teheran, intento a guardare con disprezzo, quasi con odio, tre ricche signore non velate che ridevano e scherzavano tra loro. Questa fotografia mostra con sconfortante lucidità il netto divario tra le due anime dell’Iran del tempo: da un lato, il progresso e lo stile di vita occidentale, dall’altro, invece, l’integralismo islamico.

Prima che Abbas potesse concludere questo lavoro, scoppiarono le prime proteste, puntualmente represse nel sangue. L’8 settembre 1978 l’esercito iraniano massacrò circa 2000 studenti intenti a manifestare in Piazza Jaleh: fu la goccia che fece traboccare il vaso e scoppiò quella che oggi conosciamo come Rivoluzione Iraniana.

Osservando le immagini di Abbas è possibile cogliere la doppia anima di questo fotografo: da una parte, l’uomo progressista che sentiva sua la necessità di un cambiamento e che sperava nell’avvento di una democrazia; dall’altra, il fotografo che, con onestà intellettuale, non si mostrava riluttante nel mostrare l’altra faccia della rivoluzione, quella fanatica e violenta.

In una fotografia in particolare, scattata nel dicembre del 1978, è riassunta con sconcertante lucidità la realtà che avrebbe afflitto il paese negli anni a venire. Durante una manifestazione in sostegno dello Scià, un gruppo di sostenitori di Khomeini aggredisce con ingiustificabile violenza una donna accusata dalla folla di avere un coltello. Impressionanti i volti degli uomini che la circondano, sbraitanti e con gli occhi carichi d’odio. Uno di loro, posto alla sinistra dell’immagine, inveisce contro il fotografo con un umbrello, intimandogli di smettere di fare foto.

Gli amici di Abbass cercarono di dissuaderlo dal diffondere questa fotografia, asserendo che essa avrebbe inquinato l’immagine che della rivoluzione si era diffusa nell’opinione pubblica mondiale. La risposta fu lapidaria: «Mi dispiace, io sono per la rivoluzione, ma ho un dovere verso i miei lettori e ho il dovere di farla vedere adesso, non tra dieci anni, perché il fanatismo di domani nasce oggi e queste facce parlano da sole». Un atteggiamento, questo, che accompagnerà il fotografo anche negli anni a venire e che continueremo ad approfondire nel prossimo articolo.

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