di Alessandro Giugni
Con il nuovo Decreto-Legge, firmato nella giornata di ieri, 17 maggio, il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha definitivamente sancito il calendario che accompagnerà l’Italia alla riapertura totale delle attività con l’avvicinarsi dell’estate. Due in particolare le date aventi particolare rilevanza: il 1° giugno, data dalla quale sarà nuovamente possibile la consumazione al chiuso nei locali, e il 21 giugno, giorno a partire dal quale il tanto discusso coprifuoco verrà finalmente abolito. Tali scelte sono state dettate principalmente dall’esigenza di rendere il nostro Paese in grado di attirare turisti in vista della stagione estiva.
La necessità di ripartire, dopo 8 lunghi mesi di durissime e fortemente penalizzanti restrizioni, porta con sé il bisogno di nuove assunzioni per permettere, tanto alle strutture ricettive quanto alle attività legate al mondo della ristorazione, di essere in grado di accogliere i clienti nel miglior modo possibile.
Negli ultimi giorni è emerso, a tal proposito, un problema di primaria rilevanza: una larghissima parte degli attuali disoccupati, che pre-Covid erano soliti lavorare come “stagionali”, non sono più disposti a rioccuparsi, perdendo di conseguenza il Reddito di Cittadinanza dei quali sono divenuti percettori a seguito dei tagli del personale posti in essere negli scorsi mesi. Tale vicenda mette in luce, una volta ancor più delle precedenti, il totale fallimento di tale sussidio, fallimento dovuto fondamentalmente a due ordini di ragioni.
In primis, i percettori del RDC si trovano a un bivio paradossale: accettare un nuovo impiego di breve durata, solitamente mal retribuito e particolarmente gravoso, con turni che arrivano a 12 ore a fronte di 800/1.000€ di compenso, oppure continuare a percepire 700€ (in media) di sussidio statale e cercare qualche lavoretto in nero con il quale arrotondare. A fronte di ciò, è evidente come il reddito di cittadinanza operi come un deterrente occupazionale.
In secundis, il RDC, così come concepito nel Decreto-Legge n. 4 del 28 gennaio 2019 che lo ha introdotto, non potrà mai raggiungere lo scopo principale della sua istituzione, ossia il “reinserimento nel mondo del lavoro e l’inclusione sociale”, in quanto i cosiddetti “navigator”, che solitamente provengono da un percorso universitario di carattere giuridico, non sono in grado di fronteggiare le principali difficoltà, solitamente di carattere psicologico, che ostacolano la ricerca di un nuovo impiego lavorativo. Se davvero si volesse rendere tale strumento più efficiente e concretamente idoneo al reinserimento nel mercato del lavoro, sarebbe opportuno prendere esempio dalla maggior parte dei paesi UE e rivolgersi ai cosiddetti “case manager”, ossia figure professionali di altissimo livello in possesso di titoli universitari orientati al management pubblico, con competenze specifiche di pedagogia sociale, psicologia, gestione del mercato del lavoro e specializzate in risorse umane.