di Martina Grandori
“L’erbaccia è una pianta della quale non sono ancora state scoperte le virtù” scriveva nel lontano 1836 Ralph Waldo Emerson, filosofo, scrittore e poeta americano. Emerson, inconsapevolmente, guidato solo da un’autentica passione per la natura, ci vide lungo, anzi lunghissimo.
Oggi le malerbe, le cosiddette erbacce, sono i nuovi fiori chic, sullo stesso piano di peonie e ranuncoli. Rispecchiano un nuovo mood più sofisticato di vedere giardini e composizioni floreali, dall’oblio che tocca alle piante infestanti da estirpare con energia, a nuove, leggere, romantiche, soffici piante di moda.
Il verde dai canoni estetici Old School, tutto preciso e perfetto, esiste sempre ma perde grinta. Oggi ai più attenti, a chi piace sperimentare novità anche nel proprio giardino, si lascia rapire da quel fascino più selvatico e naturale di queste piante che crescono spontaneamente, nascono qua e la’ poeticamente portate dal vento.
Chi ha deciso quindi che una malerba sia meno interessante di una pianta classica si sbaglia. Sono le piante del momento anche per il New York Times che brillantemente racconta come il mondo del cosiddetto bouquet sia cambiato, le composizioni non sono più perfette e composte ma al contrario sono tutte sentimento e passione.
Il lavoro di assembramento di rami e fiori di Sophia Moreno- Bunge di ISA ISA a Los Angeles, nome importante per i flore designer, suscita sempre emozioni profonde, e alla base c’è spesso una botanica apparentemente povera e del luogo.
E che dire della floral- guru australiana Ruby Barber, in arte Mary Lennox, tempio della nuova estetica botanica basato a Berlino, che lavora con speci invasive incline a infestare il verde e rustici e altre varietà di piante “di scarto” come potrebbero essere definite dai più conservatori. A riabilitare le piante spontanee e le malerbe anche la dilagante coscienza ecologica che impera di questi tempi: le erbacce crescono molto più facilmente – non a caso sono anche dette piante infestanti – e hanno bisogno di meno acqua e meno cure, un modo per approcciarsi ad un verde ancora più etico, ancora in maniera più leggera, quasi come fosse un gioco.
Ed è quasi un gioco Vagabonde, pamphlet di Marianna Merisi che racconta come le piante “invisibili” delle città (13 specie per l’esattezza) possano diventare un modo per esplorare con occhio botanico il verde nascosto che si trova fra le strade metropolitane.
Vagabonde, oltre al titolo è il nome che Marianna Merisi attribuisce a queste piante spontanee dallo spirito intraprendente capaci di vagare, scappare, farsi trasportare e crescere in ogni piccolo pertugio che la città offra loro, incuranti del grigiore cittadino.
Una teoria che il grande Gilles Clément spiega in Manifesto del Terzo paesaggio. Il paesaggista indica nei “luoghi abbandonati dall’uomo”, vedi i parchi e le riserve naturali, le grandi aree disabitate del pianeta, ex aree industriali, ma anche spazi più piccoli quasi invisibili i luoghi eletti dove crescono rovi, sterpaglie ed erbacce.
Tutti spazi diversi per dimensione e statuto ma accomunati dall’assenza di quella addomesticazione della mente umana, fondamentali per la conservazione della diversità biologica.Antonio Perazzi ne “Il paradiso è un giardino selvatico”, poetico manuale di “botanica per artisti”, l’autore accompagna tra edere e belle di notte, anemoni japoniche e tweedie cerulee ma anche tra le piante che crescono naturalmente senza bisogno dell’aiuto dell’uomo, quelle ostinate tra alberi secolari ed erbacce spontanee. Un inno alla straordinaria quotidianità di una natura finalmente libera da controlli: un’opera d’arte che evolve libera nel tempo.